Numero 49/2017

7 Dicembre 2017

Come nasce una bottiglia di vetro?

Come nasce una bottiglia di vetro?

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Conoscere ed apprezzare la birra significa essere curiosi e sapienti non solo su stili, processo di produzione, regole di servizio, storia e tradizioni birrarie: quante volte abbiamo osservato, maneggiato, stappato una bottiglia della nostra amata bevanda? Quanto spesso la sua dimensione, forma, colore ha influenzato la nostra scelta di acquisto o percezione del prodotto in essa contenuto?

L’approfondimento di oggi, allora, va proprio alla scoperta di come nasce una bottiglia in vetro! Un processo antichissimo, che si è evoluto a livelli industriali molto sofisticati, tanto da eleggere la bottiglia in vetro come il contenitore più vocato per accogliere la birra e altre bevande pregiate.

La prima fase produttiva consiste nella produzione del vetro fuso: in genere si usano grandi quantità di rottami di vetro, derivati dalla raccolta differenziata, aggiunti a ossido di silicio, altre sostanze vetrificabili (come ossidi e anidridi di boro e fosforo), che vengono portati alla temperatura di fusione, variabile tra 1200-1500°C. La massa rovente viene poi lasciata raffreddare a circa 800°C, in modo che acquisisca una sufficiente viscosità da renderla lavorabile (o meglio suddivisibile in porzioni).

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Le fasi successive di lavorazione sono dedicate alla formatura del contenitore e nel caso delle comuni bottiglie da birra si possono utilizzare due tecniche alternative:

  • tecnica “presso-soffio”: una goccia di vetro fuso è posto in un primo stampo, in cui si forgia una prima forma della imboccatura e del corpo grazie alla pressatura da parte di un pistone; segue l’acquisizione della struttura finale tramite un secondo stampo ed all’insufflazione di aria;
  • tecnica “soffio-soffio”: in cui il processo è sempre svolto grazie a due stampi e con la medesima sequenza, ma facendo solo uso di aria compressa a circa 200 bar. Questa è la tecnica più utilizzata a livello industriale per contenitori dalla piccola imboccatura, come, appunto le bottiglie.

Le macchine di formatura sono, in genere, dotate di più sezioni, e lavorando più gocce di vetro contemporaneamente raggiungono cadenze anche di 500 pezzi al minuto. La temperatura del vetro nel secondo stampo è di circa 450-500 °C e si ha dunque una rapidissima variazione termica. Questa situazione crea forti criticità strutturali del neonato contenitore di vetro e per annullare le tensioni presenti si ricorre all’operazione di ricottura, mediante un riscaldamento a circa 500°C per alcuni secondi.

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All’uscita dalla cosiddetta zona fredda (40-60 °C) tutti i contenitori vengono sottoposti ad un rigoroso controllo di qualità per verificare la presenza di difetti (inclusioni, crepe, rotture), la regolarità della forma e dell’imboccatura. Le imperfezioni sono punti di amplificazione degli sforzi applicati, che facilitano i fenomeni di rottura. Altri controlli, come resistenza alla pressione interna, capacità volumetrica, resistenza allo sbalzo termico, vengono condotti invece a campione.

Negli ultimi anni la tecnologia di produzione ha subito importanti evoluzioni, finalizzate alla realizzazione di imballaggi più leggeri, ma con superiori doti di resistenza meccanica. Questi progressi sono stati ottenuti grazie all’introduzione di processi di rafforzamento chimici, termici o mediante trattamenti superficiali. Indipendentemente dai dettagli tecnici, i risultati conseguiti sono notevoli se si pensa che in moltissime applicazioni, il peso dei contenitori di vetro è stato dimezzato rispetto a quello di 30-40 anni fa.

Così le bottiglie, attentamente prodotte e verificate, sono pronte per accogliere e trasportare fino a noi, la nostra amata birra!

 

 

 

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Redazione Giornale della Birra
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