Numero 41/2017
14 Ottobre 2017
I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 52
Il momento era giunto.
Tutti i partigiani erano schierati come da piano…
Quasi indifferenti a quello che stava avvenendo sul palco, alcuni di loro potevano avere assunto un comportamento talmente apatico da sembrare sospetto.
Ma la fortuna sembrava spalleggiarli.
I fascisti erano lì, tutti intenti a godersi lo spettacolo!
Non così spesso capitava di assistere all’esecuzione di una famiglia legata certamente ad un fervente ribelle partigiano!
Di solito venivano messi a morte dei semplici sospetti e, il più delle volte, essi risultavano,giorni dopo la loro stessa esecuzione, completamente innocenti.
Ma le esecuzioni, tutti lo sapevano,erano inflitte dopo un processo talmente sommario che definirlo “processo” era una farsa già di per sé.
Era il metodo Nazi-fascista.
La popolazione doveva rigare dritto,in tempo di guerra!
Tutti dovevano avere il terrore di essere messi a morte.
Con la paura dominavano gli animi.
Con il rigore ed il plagio psicologico, il Duce si stava assicurando che, per generazioni, il germe Fascista sarebbe restato nel cuore e nelle menti degli italiani!
Le esecuzioni erano solo un mezzo.
Forse neppure il più duro, per ottenere lo scopo: il dominio di una fetta di mondo completamente incapace di rialzare il capo.
Ma quel giorno…
Quel giorno non era il classico finale di una sommaria caccia alle streghe… quel giorno lì, dinnanzi a l,oro, su quella specie di palchetto montato apposta, vi erano dei reali familiari di un partigiano!
Ed ora erano legati, mani e piedi, il viso scoperto.
Erano sia anziani che bambini.
Tutta la stirpe del ribelle andava sterminata, il suo lignaggio, per misero che poteva essere, estinto, estirpato!
I condannati piangevano, cercando il conforto nei volti conosciuti dei cittadini.
Fossano non contava moltissime anime ed in quella folla accalcata lì, ai loro piedi, i condannati poterono scorgere diversi volti che,una volta, consideravano amici.
Già, amici…
Ma un amico non avrebbe dovuto tentare di proteggerli?
O per lo meno,non avrebbe dovuto avanzare una richiesta di grazia, per lo meno per fanciulli?
Avrebbe dovuto…
Ma la paura era troppa.
Bloccava le mani, soffocava le parole in gola, rendeva inerme e pavido il più cuor di leone dell’intera città!
Nessuno voleva rischiare che, per una parola di troppo, le camice nere lo accumunassero ai partigiani, finendo così a fianco dei condannati con tutta la propria famiglia al seguito.
“Che stupide, le persone” pensò Giuseppe, “se solo si mettessero tutti insieme, altroché salvare questi poveracci… ribalterebbero il regime in pochi minuti! Se tutti i milioni di cittadini si ribellassero farebbero delle poche centinaia di migliaia di fascisti armati un sol boccone! Senza contare che tanti militari si schiererebbero con loro perché parenti!”
Già, è sempre così nei sistemi dittatoriali…
Ma la cruda verità era una ed una soltanto: i primi del gruppo ribelle sarebbero sicuramente morti nell’attacco… quindi, com’è ovvio,nessuno voleva essere la prima linea!
Ed allora, pochi uomini violenti soggiogavano milioni di pecorelle.
È la dura legge della natura.
Giuseppe era schierato sul lato destro, guardando il palco, della formazione centrale.
Era sovra pensiero, sicuramente, ma comunque concentrato, teso alla meta: uccidere più fascisti che poteva, possibilmente salvando tutti gli ostaggi!
Il segnale arrivò.
Le camice nere si erano girate di spalle alla piazza, il plotone di esecuzione aveva iniziato a caricare le proprie armi.
Un urlo.
Il leader inneggiò alla libertà,come da accordi.
L’aria si riempì di polvere da sparo e del suo acre odore.
BANG, BANG, BANG!
Molti proiettili furono esplosi, alcuni andarono a segno.
Quasi tutti.
Il pochi attimi, che però per Giuseppe durarono ore, tutto si era concluso.
Gli spettatori erano a terra, rannicchiati come vermi codardi quali erano…
Gli ostaggi in piedi, frignanti e con i calzoni bagnati.
Anche ai lati della piazzala battaglia stava per concludersi, a favore dei partigiani.
Giuseppe cercò Pietro con lo sguardo.
Lo vide, sul lato sinistro della piazza, con la pistola spianata su di un fascista che era stato ferito e che giaceva a terra.
Il giovane lo intuì, il fascio invocava pietà.
Pietro non ne ebbe:serrò meglio le mani attorno all’arma ed esplose il colpo fatale che squarciò il volto del nemico.
Sembravano tutti vivi.
Giuseppe roteò su sé stesso per ispezionare tutta l’area.
Poi lo vide: il capo dei partigiani, il compagno di Beatrice era lì, steso a terra, gli occhi vitrei ed una pozza di sangue sgorgava caldo e fluente dal suo petto.
«Cazzo!» disse con voce sommessa, «e adesso come lo spiego a Beatrice? Porca miseria, non mi ricordo neppure come si chiamava…»