Numero 14/2019

1 Aprile 2019

Il cronista più famoso della birra, Andrea Turco, con amore per il Giornale della Birra!

Il cronista più famoso della birra, Andrea Turco, con amore per il Giornale della Birra!

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Questo mese di marzo ci regala delle meravigliose giornate di sole ma ci arricchisce anche con nuovi eventi nella nostra bella regione, un nuovo festival della birra artigianale: HOPINESS a BRA. I suoi organizzatori si sono prefissati l’obiettivo di parlare di birra partendo dalla terra fino ad arrivare alla bottiglia: un messaggio forte e importante per tutti i produttori di birra oggi in Italia. Qui ho incontrato Andrea Turco, uno dei testimoni e cronisti del mondo birrario degli ultimi undici anni.

Andrea, padrino di questo festival che ha aperto con lui, ha ricevuto un premio importante per la sua carriera. Il suo libro “Dieci Anni di Cronache di Birra” uscito da poco, racconta quello che Andrea è riuscito a scoprire del mondo della birra in Italia.

Andrea ha accettato molto volentieri di rispondere alle mie domande e in amicizia ci ha lasciato un bel messaggio.

 

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Chi è Andrea Turco e perché nel corso della tua vita hai cominciato a fare il cronista della birra artigianale in Italia?

Attualmente sono un freelance, lavoro nel mondo della birra e scrivo di birra. Il prodotto a cui sono legato è “Cronache di Birra”, che esiste da ormai undici anni, poi faccio anche consulenze in questo ambiente: sono docente, giudice in concorsi, organizzatore d’eventi legati alla birra: questo è il mio curriculum nell’ambito birraio. L’idea di diventare un cronista mi è venuta undici anni fa quando avevo già sviluppato una certa passione: dopo alcuni anni che bevevo già birra artigianale e m’informavo on-line, sui libri e nei viaggi (che è il modo migliore per imparare), vedevo che quello che mancava nella birra artigianale era un blog tematico sulla birra, cioè che raccontasse quotidianamente quello che succedeva nel mondo della birra. Lavorando come programmatore informatico, mi capitava di leggere i blog tematici sul mio lavoro e allora pensai: perché non fare qualcosa del genere declinato nel mondo della birra? Quindi aprii il blog “Cronache di birra”.

Perché hai deciso di pubblicare il libro “Cronache di Birra”? Raccontacelo un po’: perché non deve mancare nelle nostre librerie?

Ho deciso di pubblicarlo perché si avvicinavano i dieci anni del sito, avevo voglia di fare qualcosa di particolare per l’occasione. All’inizio non avevo le idee tanto chiare: un evento mi sembrava un po’ limitativo, una birra l’avevo già fatta per i cinque anni, era già un’esperienza acquisita e non valeva la penna replicarla. E allora, ragionando su qual è il significato di dieci anni di sito per me e per la birra, mi sono accorto che se tu ripercorrevi tutti gli articoli che ho scritto ogni giorno su questo mondo potevi ricostruire l’evoluzione dell’ultimo decennio della birra artigianale italiana. Quindi l’idea è stata quella di creare una sorta di antologia, raccogliendo 6-7 articoli per anno degli ultimi 10 anni e quindi ricostruire un po’ l’evoluzione del nostro mondo mettendo anche qualche pezzo di cultura birraria.

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Cosa vuol dire per te birra artigianale? Oggi, dopo 10 anni di Cronache, la tua percezione è cambiata?

No, non è cambiata. Per me la birra artigianale è una birra di carattere, la migliore che puoi trovare normalmente in commercio. La birra è l’espressione del suo birraio, ci trovi dietro una persona e questo è indipendentemente dal fatto se il birrificio è piccolo o grande. Non è un chimico o un dipendente che sta in sala cotta e fa l’esecutore di qualcosa fatto a tavolino o da una macchina. Per me la differenza la fa la presenza del fattore umano: la birra è l’espressione del carattere di chi c’è in birrificio.

Il festival a cui assistiamo oggi con il messaggio “dalla terra alla bottiglia”, che significato ha secondo te?

Secondo me è un’idea forte, molto interessante. Quest’idea tornerà di frequente nei prossimi anni, perché è un tema che ti fa capire che dietro la birra c’è la natura fondamentalmente, un concetto che noi dimentichiamo spesso. In realtà la birra come bevanda è comunque legata alla natura, non è più legata alla stagionalità o ad altre evoluzioni che ci sono nell’anno, ma alla terra, alla natura. Eventi del genere ti fanno ricordare, ti riattivano questo concetto che ovviamente con l’industrializzazione di questo prodotto tendiamo a perdere. Poi permette di sviluppare il concetto degli ultimi anni sul km0, la filiera corta in un prodotto come la birra.

 

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E tu credi che possa aver un seguito?

Secondo me sì, anche perché se guardiamo ci sono già diverse leggi regionali sul concetto di birra artigianale locale che si stanno sviluppando intorno alla filiera. A me personalmente non piace mettere come vincolo che si debbano per forza usare prodotti locali. Però in realtà è anche una possibilità di poter sviluppare il tuo marchio legato al territorio da cui vieni: è uno dei pochi canali su cui i birrifici più piccoli, non avendo più la possibilità di allargarsi sui mercati grandi perché il mondo della birra artigianale è diventato molto competitivo in Italia, dovranno buttarsi sul locale creare una comunità, e questo legame con il territorio può rinforzare il territorio stesso.

 

Come definisci la tua figura in questo contesto?

Io spero di poter essere un divulgatore di cultura birraria, o almeno spero di poter essere visto così: quello che ho cercato di fare in questi undici anni con il mio blog è dare una visione del mondo della birra non solo a livello di cronaca, ma anche ogni tanto spiegare quello che c’è dietro a ogni birrificio e ad ogni birra. Il mio ruolo è quello di fare comunicazione, perché secondo me ce n’è tanto bisogno: spero che la mia figura sia vista in questo senso.

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Il movimento craft beer in Italia va nel senso giusto?  

Secondo me va in tante direzioni diverse, alcune giuste altre un po’ meno. Fondamentalmente io la vedo in maniera positiva, ottimistica come tendenza. Ci sono alcuni elementi un po’ preoccupanti nel senso che a volte vedi questo fattore della moda che c’è stato soprattutto negli anni passati almeno in grandi piazze, tipo Roma. Adesso si è un po’ affievolito, dunque la componente modaiola che io ho sempre un po’ temuto è cessata e forse scomparsa. Poi in realtà da questa ondata che è passata è rimasto un pubblico più allargato anche più giovane su cui costruire il futuro del movimento. 

 Che consigli puoi datare a quelli come te che scrivono di birra?

Non mi sento di dare dei consigli a chi fa già questo mestiere. Secondo me è importante innanzi tutto ricordarsi che la birra è una bevanda informale. Quindi sì al fare informazione e cultura, ma sempre con un taglio abbastanza leggero.  Vanno bene anche gli approfondimenti, ma sempre con leggerezza, mai con superiorità.

 

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Lina Zadorojneac
Info autore

Lina Zadorojneac

Nata in Moldavia, mi sono trasferita definitivamente in Italia per amore nel 2008. Nel 2010 e 2012 sono arrivati i miei due figli, le gioie della mia vita: in questi anni ho progressivamente scoperto questo paese, di cui mi sono perdutamente infatuata. Da subito il cibo italiano mi ha conquistato con le sue svariate sfaccettature, ho scoperto e continuo a scoprire ricette e sapori prima totalmente sconosciuti. Questo mi ha portato a cambiare anche il modo di pensare: il cibo non è solo una necessità, ma un piacere da condividere con la mia famiglia e gli amici. Laureata in giurisprudenza, diritto internazionale e amministrazione pubblica, un master in scienze politiche, oggi mi sono di nuovo messa in gioco e sono al secondo e ultimo anno del corso ITS Gastronomo a Torino, corso ricco di materie interessanti e con numerosi incontri con aziende produttrici del territorio e professionisti del settore. Il corso ha come obiettivo la formazione di una nuova figura sul mercato di oggi: il tecnico superiore per il controllo, la valorizzazione e il marketing delle produzioni agrarie e agro-alimentari. Così ho iniziato a scrivere per il Giornale della Birra, occasione stimolante per far crescere la mia professionalità.