12 Dicembre 2015

La morte ha il gusto del luppolo: quarto capitolo

La morte ha il gusto del luppolo: quarto capitolo

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Alberico, infine, fu accolto all’interno del monastero.

Era un luogo semplice, dalle fondamenta in solida pietra come le mura.

La malta, che sgraziatamente circondava ogni singola pietra, strabordava fino a formare come delle lacrime grigiastre, ruvide e graffianti.

In alto, sopra alle strutture in pietra, assi di legno trattate con pece per resistere all’umido clima campeggiavano poveramente. Talmente erano mal ridotte che, in alcuni punti, laddove le intemperie e la grandine avevano lasciato il segno, verde muffa affiorava e divorava. Sopra ancora, a copertura di tutte le strutture, tegole di pietra, di losa, offrivano un reale riparo dalle precipitazioni.

Non un ricco luogo, in vero, come poteva apparire da dietro le mura, dall’esterno, ma comunque un piccolo angolo di pace, un’oasi che poteva rassomigliare ad un vero luogo di culto.

In teoria non vi sarebbe stato motivo alcuno per vietare l’ingresso a viandanti e a pellegrini, nonché ai bravi cittadini di Bullhornes Town ma, effettivamente, qualcosa di terribile era capitato circa una settimana addietro.

Qualcosa di oscuro e diabolico; il motivo per cui Alberico era stato inviato lì da Sua Santità in persona: un omicidio.

L’omicidio di tale Frà Malcom.

«Vi chiedo di perdonarci, Vostra Eccellenza, se l’accoglienza riservatavi non è stata amorevole e caritatevole come si conviene».

«Padre Alberico va benissimo, Egregio Abate…»

«Padre Joseph va benissimo, Padre Alberico».

«Ottimo».

«Allora, siete qui per indagare sulla triste dipartita di Frà Malcom, dico bene?»

«Come da bolla Papale».

«La Santa Sede è stata dunque così solerte nell’inviarvi in questo ameno e sperduto luogo? Neppure dieci giorni dalla morte e Voi siete già qui!» vi era un tono di sorpresa nelle parole dell’anziano Abate.

«Ameno ma, invero, non dimenticato. Sua Santità porta sempre nel cuore il pensiero di ogni sua pecorella e, come un buon Pastore, si dispera quando una di esse si smarrisce o muore. A maggior ragione se il trapasso non avviene in modo… naturale».

«Comprendo».

«Ed al contempo, come potete ben immaginare, lasciare impunito un omicidio, per di più se la vittima è un servo di Dio, è un vero peccato, un crimine contro Dio stesso!»

«Assolutamente, concordo! Ma ditemi, non per mancarvi di rispetto, cosa credete di ottenere Voi, che non sia già stato ottenuto dai soldati della Guardia cittadina?»

«Ebbene, non credete che io voglia ottenere il colpevole?»

«Se mi è concesso, in che modo credete di farlo?»

«Ho i miei metodi, Padre Joseph».

«Immagino…» il vecchio, a quel punto, espresse una nota di sarcasmo, sapendo bene che la tortura era uno di quei metodi non meglio specificati.

«Ad ogni buon conto» riprese Alberico infrangendo l’imbarazzante silenzio creatosi, « l’importante è scoprire chi si è macchiato di un tale reato! Confido, mio buon Abate, che si mantenga il massimo riserbo sulle mie indagini, onde non allarmare l’assassino ed evitare che si dia alla macchia».

«Certamente, anche se credo che il siparietto di cui, me ne dolgo, oggi siete stato il protagonista, abbia attirato l’attenzione di tutti».

«Indubbio. Prego Dio che la menzogna sullo scopo del mio viaggio abbia placato gli animi».

«Me lo auguro anche io. Di grazia, mio buon Signore, non credete che il criminale che ha colpito sia già fuggito altrove? Diciamo… subito dopo aver compiuto il misfatto?».

«Dalle informazioni che avete inviato per mano del Vicario del Vescovo, Padre Amos, credo che non sia stato un omicidio d’impeto, dettato da un accesso d’ira. Credo invece che il crimine sia stato premeditato e che esso sia stato un atto dimostrativo. Quindi, in vero, non credo che l’assassino sia scappato».

«Oh, buon Dio! Questo vuol dire che siamo tutti in pericolo? Oh Vergine Beata!»

«Perché dite così? Credete forse che l’assassino abbia un conto in sospeso con più di un frate? Magari con tutti voi? »

«Ah…beh… ecco… io… Padre Alberico, non posso certo sapere che cosa passa nel cervello di un omicida!»

«Certo, certo…»

Di nuovo un silenzio imbarazzante.

«Padre Jopseph, credete che io possa visionare tutta la documentazione inerente il caso? Compresi gli atti ufficiali delle indagini?»

«Certo. Questo però sarà complesso da mantenere segreto…»

«Non necessariamente. Se voi li richiedeste a nome vostro, nessuno sospetterebbe di me. D’altro canto, chi è più giustificato di voi a chiedere dei documenti riguardanti l’omicidio di un vostro frate?»

«Come desiderate!»

«Bene. Parliamo un po’ dell’accaduto».

L’abate esibì un segno della Croce, visibilmente turbato all’idea.

«So che il dolore è ancora intenso e vivido, ma mi è indispensabile sottoporvi a questa sofferenza, ora che i ricordi sono ancora recenti».

«Provo grande pena, beninteso, ma cosa sarà mai questo mio patimento, se paragonato alla Passione di Nostro Signore o alla sofferenza del povero Frà Malcom?»

«Ottimo. Vi prego, dunque, raccontatemi cosa è accaduto».

L’anziano priore trasse un profondo respiro, come a riordinare le idee e poi, con voce malferma e velata di tristezza, cominciò ad esporre i fatti:

«Ebbene, ormai dieci giorni fa, mi svegliai all’alba, al canto del gallo, come faccio tutti i giorni. Uscii dalla mia cella e mi chiusi nell’intimità del mio bagno, dove mi sciacquai il volto per destarmi dal torpore del sonno. Mentre stavo curando la mia igiene, venni interrotto da Frà Samuel, il più giovane ed irruento dei miei monaci. È nuovo in convento e più di una volta l’ho rimproverato poiché non ancora avvezzo a tutte le regole ed al decoro che si richiede ad un servo di Dio. Ricordo di aver sentito il rumore di una corsa, ed in cuor mio sapevo già che esso proveniva da Frà Samuel… benedetto ragazzo, non ha neppure vent’anni e…»

«Vi pregherei di non divagare, Padre».

Alberico sapeva che i vecchi hanno la tendenza a perdere spesso il filo di un discorso, passando di palo in frasca da un argomento all’altro.

Con gentilezza, lui, aveva appena cercato di indirizzare i pensieri dell’anziano verso argomenti pertinenti.

«Certo, certo… vi chiedo scusa, l’età…»

«Non fa nulla, non vi preoccupate. Prego, continuate».

«Bene. Frà Samuel ha bussato violentemente alla porta del mio bagno, in modo maleducato ed irrispettoso, gridando a gran voce “Abate! Abate! Presto! È successa una cosa gravissima! Oh Dio del Cielo!”.

Ricordo che sono uscito dal bagno ancora con il viso bagnato e chiesi al giovane quale fosse la catastrofe che si era abbattuta su di noi. Lui mi afferrò il braccio, più per tirarmi che per farmi da sostegno, e mi trascinò con sé. Non lo avevo mai visto così scioccato, povero giovane… lo seguii più velocemente che potei, conscio che seriamente era accaduta una disgrazia».

Il prelato trasse un altro respiro, bevve un sorso di acqua e poi riprese la narrazione.

«Fui condotto nella cella del povero Frà Malcom che era riverso a terra, esanime». Un nuovo segno della Croce.

«Ricordate come era messo? La posizione intendo».

«Era sdraiato sul pavimento, riverso a pancia in giù. Sembrava come se fosse caduto dall’alto, i palmi delle mani appoggiati a terra come se avesse tentato di proteggersi dalla caduta. Non dimenticherò mai il suo volto. Gli occhi strabuzzati e sbarrati, quasi fuori dalle orbite e la bocca semi dischiusa. Subito lo smossi, strattonandolo per la spalla… come se potesse servire a qualcosa! Che vi devo dire, Padre Alberico, l’istinto. Ero accovacciato a fianco al corpo e notai, una volta che smisi di strattonarlo, che dalle sue labbra fuoriuscivano dei pezzettini di materia verde. Infilai, non senza ribrezzo, due dita nella bocca del povero Frà Malcom e sentii che essa era piena. Estrassi le dita ed annusai. Scoprii che quella sostanza verdognola era…»

«Era?»

«Luppolo».

«Luppolo? La cosa vi allarmò?»

«Certo! Normalmente non si mangia il luppolo! Si usa nella produzione di birra».

«Perdonate, caro Abate… nella produzione della birra? Non ne so nulla di questo argomento…»

«E come potreste? Vedete, mio buon Signore, tra le svariate attività che questo monastero svolge, vi è anche la gestione di una cantina, nella quale produciamo vino e birra. Dalla vendita di queste e di altre merci, il monastero ricava i denari sufficienti per mantenersi e per svolgere le opere di bene e di carità che tanto sono adorate da Nostro Signore! Se il nostro monastero dovesse affidarsi solo al buon cuore dei fedeli, saremmo senza un tetto sulla testa e senza cibo nello stomaco da molti anni. Non metto in dubbio l’amore dei fedeli per la loro Chiesa, ma qui siamo tra povera gente. La maggior parte dei cittadini di Bullhornes Town non riesce a mettere insieme un pasto caldo al giorno. Quindi, forzando un po’ la mano alla Divina Provvidenza, ovviamente con l’approvazione e la Dispensa Vescovile, abbiamo iniziato a produrre e a vendere le merci che produciamo».

«Capisco. Ebbene, mi stavate dicendo del Luppolo nella birra… non ho mai sentito che essa si producesse con quell’erba».

«Sono diversi anni che stiamo provando diversi luppoli e diverse miscele e le botti di birra luppolate, provenienti da questo monastero, sono ormai ampiamente consumate alla corte di diversi vescovi e nobili della Scozia, nonché nelle osterie! Una bella soddisfazione per dei semplici frati che, ovviamente, non scade nel narcisismo».

«Naturalmente».

«Orbene, visto che nella bocca, il povero Frà Malcom, aveva un bel po’ di luppolo, decisi di avvisare subito la guardia cittadina ed inviai immediatamente una lettera al Vescovo. Fui subito persuaso che si trattasse di un omicidio ed anche le guardie ne sono convinte. Il resto dei fatti lo dovreste conoscere meglio di me, visto che siete giunto fin qui da Roma».

«Sì. Bene, che voi sappiate, c’è qualcuno in città che possa aver avuto motivo di uccidere Frà Malcom?»

«Oh, buon Dio, No! Nel modo più assoluto!»

Per Alberico era sufficiente così.

«Direi che la nostra chiacchierata è giunta al termine, Padre».

«Lieto di averla fatta, Padre. Spero di esservi stato utile».

«Non vi è dubbio alcuno, statene certo. Un’ultima cosa…»

«Sono a vostra disposizione».

«Il corpo è stato spostato, prima del vostro arrivo?»

«Non… non credo, non lo so. Bisognerebbe chiedere a Frà Samuel…»

«Ho capito. Mi autorizzate a fare una chiacchierata informale con lui?»

«Mio buon Signore, siete qui con uno scopo ben chiaro e che tutti noi condividiamo! Farò in modo che ogni mio Frate esegua tutto ciò che voi comanderete! Credetemi, voglio scoprire chi è l’assassino di Frà Malcom almeno quanto voi!»

«Perfetto… al lavoro, dunque».

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.