Numero 27/2019

4 Luglio 2019

Quel Castello di Lorenzo

Quel Castello di Lorenzo

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Se dovessi elencare tutti quelli che hanno condiviso con me la passione per la Birra Artigianale la lista sarebbe veramente lunga. Non si vincono premi, ma si rafforzano affetti, amicizie e se ne fanno di nuove. Il vero premio è non perdere mai l’entusiasmo, la voglia di fare e ricercare. Lungo questi percorsi spesso trovi persone altrettanto ricche di passione e curiose.
E’ ad una di queste che farò qualche domanda.

Il suo nome è Lorenzo, non il Magnifico di Firenze, ma Illotta di Quel Castello di Diegaro, il visionario ed eclettico titolare del ristorante.

 

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Chi è “Lorenzo” e cosa significa la parola ristorazione per te?

Credo di poter rispondere con cognizione di causa.. Vanto 45 anni di osservazione ed analisi.

Sono cresciuto all’interno dei ristoranti.
Ero nella culla quando i miei genitori gestivano un ristorante a Milano Marittima e ho mosso i primi passi nella storica Pizzeria del Corso a Forlì. Poi all’età di 6 anni, era il 1980, ci fu l’importante acquisizione del Castello di Diegaro.

La ristorazione è la mia vita.

 

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Quel Castello di Diegaro è un ristorante di famiglia e la storia ci insegna che questo modello è spesso vincente. Ci racconti questa avventura iniziata negli anni ’80?

Ricordo il primo giorno in cui arrivai in questo castello. Avevo un piccolo aeroplano che feci volare dalla torre e rimasi stupito dalla vista che partiva da Cesena e arrivava fino a Bertinoro. Questo maniero sarebbe diventato poi il mio ristorante.

Ho cominciato qui lavando padelle, bicchieri ed infine mio padre mi ha costretto, per vincere la mia timidezza, a lavorare alla cassa. Al contrario di alcuni genitori, è una persona estremamente intelligente.
Quel tipo di intelligenza che nasce dalla sensibilità. Lui mi ha permesso di fare e sperimentare.

Ha fatto in modo che le mie idee prendessero vita. Però mi ha anche lasciato sbagliare, facendolo consapevolmente, cosa davvero straordinaria, e ciò mi ha fortificato nel mio lavoro.

 

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Come deve essere un “ristorante” oggi?

Risposta molto complessa che va analizzata più a monte in quanto il mondo dei consumi in genere è estremamente vario, veloce e molto esigente.

Solo 15 anni fa a questa domanda si poteva rispondere che le “fondamenta” di un ristorante sono la qualità del cibo, la cura nell’accoglienza del cliente senza sottovalutare il rapporto qualità/prezzo.

Oggi, in questo melting pot reso esplosivo dal sempre più rapido scambio di informazioni a livello globale, dalle tendenze, dai gusti, dalle commistioni culinarie e dalle mode diventa sempre più determinante dare alla propria offerta, qualunque essa sia, una precisa identità.

Emergere dalla massa.

Per farlo le strade sono le più diverse. Si deve partire sempre dalla qualità di ogni aspetto, ma ormai non basta più…

 

Le persone spesso sono inconsapevoli della qualità del prodotto che hanno davanti. E’ importante trasmettere la Cultura gastronomica dalla cucina alla sala, informare, coinvolgere ed incuriosire il cliente per trasmettergli la passione che mettete nel vostro lavoro. Una missione quanto difficile?

Questa infatti è una delle strade. Se dobbiamo combattere serve rispondere “ancorandoci” ulteriormente alle nostre radici culinarie. Vedi Piero, noi ristoratori abbiamo un grosso vantaggio rispetto a chi vende altre merci.

Siamo depositari della tradizione gastronomica. Se diventiamo consapevoli di quanto sia importante portare avanti il sapore del Nostro cibo abbiamo già vinto in partenza.

Anche in America, così distante da noi dal punto di vista gastronomico, dominata dall’imperante cibo spazzatura, al “food” veloce si stanno contrapponendo le radici culinarie del Soul Food ovvero cibo dell’anima, quello della cucina etnica tradizionale.

Una tagliatella al ragù può vincere ancora per lungo tempo contro hot dog, hamburger e quant’altro. Non solo sazia, ma fa battere anche il cuore.

 

Ricerca, innovazione, creatività… quali altri ingredienti aggiungeresti alla ricetta perfetta per il successo di un locale?

La cura dei dettagli. Siamo circondati dalla grossolanità. Che si parli di turismo, di cibo, ma allarghiamoci anche fino al mondo dell’informazione, perché no anche della politica, siamo circondati da infinita improvvisazione.

Il dettaglio può trasmettere verità, ti può dire: “Ehi, siamo qui per te, perché ti rispettiamo.”

 

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Al di fuori del ristorante che passioni hai e c’è qualcosa di loro che ha contaminato in positivo il tuo lavoro?

Sono un curioso a livelli patologici. Affamato di ogni genere musicale, lettore instancabile, amante di tanti generi artistici e anche del giardinaggio.
Mi appassiona naturalmente il mondo del food e del beverage, che si allarga fino al tè cinese, una delle mie più recenti passioni. Appena posso fuggo dal caos: alle metropoli preferisco i borghi e agli aperitivi con DJ preferisco un bancone con un silenzioso barista che asciuga i bicchieri.

 

La cucina Gourmet e la Birra Artigianale sono simboli di creatività e, azzardiamo, simili ad una forma d’Arte. Che rapporto hai con questa antica Arte ed invece col nuovo mondo del food digitale e modaiolo?

Comincio a provare prurito nei confronti dei tanti social blogger che stanno affollando il mondo della cucina. Credo sia fondamentale avere un profondo e importante bagaglio culturale ed esperienziale per poter dare giudizi autorevoli Dico tutto questo perché come te credo che un piatto possa essere un veicolo artistico, ma attenzione non deve essere necessariamente legata al mondo gourmet.
Anche il termine “gourmet” comincia a darmi un po’ fastidio, ormai è tutto gourmet, la piadina, il panino, la pizza…

Gualtiero Marchesi, consapevole amante dell’arte, quando ha creato il noto “risotto foglia oro” voleva lanciare un messaggio artistico nel vero senso della parola.
Si trattava, anzi si tratta perchè è proposto da tante cucine nel mondo, di un risotto allo zafferano con questa idea estetizzante. Arte culinaria come vero veicolo di comunicazione quindi, di desiderio di espressione.

Ogni nostro gesto credo si fonda con questo e con la voglia di stare insieme.

 

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Un ristorante deve essere coerente con l’epoca in cui è inserito.

Oltre alla carta dei vini hai aggiunto una carta delle Birre Artigianali in continuo aggiornamento facendo sempre attenzione alle novità.

Ci spieghi questa tua decisione e che idea ti sei fatto del mondo brassicolo odierno?

Di un mondo estremamente libero.

Facendo ad esempio un confronto con il mondo vinicolo, dove le tradizioni sono molto più rigide e rendono faticose nuove vie di produzione (vedi ad esempio le lunghe macerazioni di vini bianchi o gli affinamenti dei vini in anfora) il mondo della birra è più disinvolto e sperimentale.

Tuttavia scegliere etichette per la Carta delle Birre diventa più complesso, la qualità e la costanza di molti produttori è per i motivi appena esposti a macchia di leopardo.

Quindi bisogna bere molto e cercare di conoscere meglio la storia che gli artigiani birrai hanno alle loro spalle.

 

Negli ultimi tempi hai avuto l’idea di realizzare eventi birrari nel locale.

Cosa o chi ti ha ispirato?

In realtà anche in passato abbiamo dato vita a tante iniziative simili. Potrei ricordare “La Pasta Nuda” (nome tratto dal romanzo “Pasto Nudo” di William S. Burroughs… come vedi ci sono continue commistioni) dove si giocava con la pasta sfoglia e condimenti improvvisati.
Organizziamo molti eventi legati al mondo del vino.

Negli anni l’attività fortunatamente sempre più frenetica ci ha fatto mettere in secondo piano questo tipo di iniziative.

Da qualche mese abbiamo ricominciato ad organizzare delle serate che servono, mi ripeto per l’ennesima volta, al dialogo e alla necessità di tornare al confronto con gli altri, in questo caso i clienti.

La birra nel mio locale ha sempre avuto un ruolo non secondario, ma non avevamo mai valutato l’idea di proporre serate dedicate a questa bevanda.

In questo ambito è stata determinante l’amicizia con Giacomo, mio collaboratore, ma prima ancora amico.
Anche lui ha una innata curiosità dello scibile umano, ma soprattutto è grande amante del mondo beverage e conoscitore di quello birrario.

 

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In futuro hai intenzione di proporre eventi anche di altro genere?

Ho in mente un evento di genere davvero “Altro”.

Ti stupirò… Sarà legato al mondo del pane, ma vorrei trattarlo dal punto di vista indovina un po’? Del dialogo!

Vorrei che fosse un evento più culturale che gastronomico, ma ora è presto per le anticipazioni.

 

Sul lavoro ci vuole sempre tanta pazienza… Quanti coltelli lanci durante la giornata?

In effetti questo lavoro ti mette molto alla prova, soprattutto da un punto di vista emotivo, ma devo essere grato a questo continuo “allenamento”.

Vedo tanti colleghi e amici rivolgersi a coach esterni, fare counceling o rivolgersi ad analisti.

La mia terapia è stata questa professione. Si è obbligati a gestire le ansie e non è roba da poco! Quindi sì, tanta pazienza e credimi è l’unica via possibile.

 

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Non è affatto semplice trovare partners nella ristorazione disposti a sposare nuove idee e ad accettare il rischio per non cadere nel banale.

La prima volta che ho incontrato Lorenzo ho scoperto in lui tanta voglia di fare ed entusiasmo che è fondamentale.

Ho “visto nelle sue parole” la fiamma della curiosità e gli auguro che realizzi tutti i suoi progetti come anche quello di creare eventi che valorizzino la Birra Artigianale, la Cucina di Qualità, la convivialità e il senso di aggregazione.
Lorenzo si è lanciato in questa nuova avventura e so che raggiungerà grandi risultati.

Chi mi conosce sa che non credo nel “Ruffianesimo” e che le mie sono parole sincere.

Vorrei concludere e ricordare che “Bere Birra è il dannato sostegno a questa vita”

 

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Piero Garoia
Info autore

Piero Garoia

Sono nato nel lontano millenovecentosess… il secolo scorso, a Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi padre della cucina italiana.
Appassionato di musica, cinema, grafica e amante della fotografia.
La passione per la Birra Artigianale nasce tra gli scaffali di una libreria sfogliando un piccolo manuale per fare la birra in casa.
I disastrosi tentativi di produrla mi hanno fatto capire che diventare homebrewer non era proprio la mia strada.
Ho scelto allora di gustare la birra con gli amici, tutti appassionati, “credenti” che artigianale sia significato di unicità e qualità.
Non sono un docente, nemmeno un esperto, ma ho un obiettivo, mantenere vivo un piccolo mondo romantico dove la cultura della birra sia sinonimo di valori, socializzazione e condivisione di esperienze.
Coltivo le mie conoscenze partecipando a eventi, degustazioni, incontri e collaboro con l’Unper100 un’associazione di homebrewer forlivesi.
Mi affascina il passato delle persone, ascoltare le loro storie e capire come vivono le loro passioni.
Gestisco anche un mio blog semiserio www.etilio.it e mi piace pensare che questo possa contribuire a “convertire” più persone possibili al pensiero che “artigianale è meglio”.
Ho ancora tanti sogni nel cassetto e altrettanta voglia di concretizzarli.
Far parte del “Giornale della Birra” cosa significa? Vuol dire avere l’opportunità di comunicare a molte più persone quello che penso e mi appassiona.