Numero 51/2016

21 Dicembre 2016

LAMBIC: la vasca di raffreddamento – Parte 12

LAMBIC: la vasca di raffreddamento – Parte 12

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Terminata la lunga bollitura arriva l’ora di raffreddare il mosto. Una volta eliminati gli ultimi residui di luppolo di trebbie, esso viene pompato direttamente nella vasca di raffreddamento in un turbinio di vapore e aromi caratteristici.

La vasca è fatta di rame, ottimo conduttore e quindi ideale per disperdere il calore più velocemente. Il contenitore è lungo tra i sette e gli otto metri, largo cinque o sei e non è mai profondo più di trenta o quaranta centimetri; questo per dare la possibilità a una grossa quantità di mosto di essere a contatto con l’aria, il veicolo attraverso il quale lieviti selvaggi e batteri lo “infettano”.

La vasca di raffreddamento si trova, nella quasi totalità dei birrifici specializzati nel Lambic, nel sottotetto dell’edificio.  Lì la ventilazione, anche grazie a finestre sempre aperte e feritoie, è ottimale e permette a molta aria di entrare in contatto col mosto. In alcuni moderni birrifici sono stati installati sistemi di convezione con lo scopo di indirizzare i flussi d’aria direttamente sul mosto. Solo alcuni produttori, come Mort Subite, non usano più la vasca di raffreddamento, ma si affidano alla tecnologia, saturando dei semplici fermentatori a fondo tronco conico con l’aria ricca di microrganismi per inocularli nel mosto già freddo.

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Un tempo tutti i produttori di qualsiasi tipo di birra erano soliti raffreddare il mosto nel solaio ed è per questo che in alcuni storici birrifici ancora oggi si vedono fori di ventilazione. Successivamente ci si accorse che questo metodo era rischioso e la tecnologia, con l’invenzione degli scambiatori di calore, permise di velocizzare il processo riducendo i rischi di infezioni. Il Lambic però è una birra alleata con la natura e utilizza molti di quei lieviti e batteri detestai dalle altre per forgiare il suo carattere.

 

Il mosto trascorre tutta la notte nel sottotetto del birrificio. La temperatura scende lentamente a contatto con l’aria fredda delle notti fiamminghe. È a causa di questa storica tecnica di produzione che il Lambic viene prodotto soltanto nei sei – otto mesi più freddi dell’anno. Sempre per avere a disposizione aria più fredda il mosto viene raffreddato solo di notte. Aria più calda, oltre a rallentare il raffreddamento del mosto, favorisce infezioni da parte di batteri acetici e lo sviluppo di alcuni altri microrganismi portatori di un’acidità pungente e sgradevole.

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Trascorsa l’intera notte nel sottotetto il mosto avrà raggiunto la temperatura desiderata di circa 20°C e, bene o male, sarà stato inoculato con tutte le creature invisibili che popolano i muri, le travi, il tetto e qualsiasi altro oscuro anfratto della stanza. Recenti studi hanno dimostrato che, come peraltro sostenevano alcuni produttori da diverso tempo, la concentrazione di microrganismi all’interno del birrificio è molto più elevata che quella dell’aria. Non nell’aria, bensì nell’edificio, risiedono il mistero e la magia del Lambic. È l’edificio che rende così diverse le birre di ogni birrificio. Molti birrai hanno una venerazione quasi religiosa per le loro vasche di raffreddamento, c’è addirittura chi ha rifatto il tetto senza cambiare le tegole per non disturbare la microflora presente nel solaio. Il carattere della casa viene trasferito alla birra. Il Lambic è forse la birra che più è legata al concetto di “terroir” tipico del vino e delle ostriche.

Il mosto raffreddato e infettato deve essere infine trasferito nelle botti. Prima però subisce un altro passaggio, viene travasato in un tino dove, mescolandosi, permette ai microrganismi di distribuirsi omogeneamente. Ora è pronto per essere accolto dal legno dove dovrà trascorrere molto tempo prima di raggiungere il nostro bicchiere.

 

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Federico Borra
Info autore

Federico Borra

Classe 1982, nato a Milano, ma comasco d’adozione, ho iniziato il mio viaggio nel mondo della birra artigianale nella cantina di un ormai famoso birraio: io facevo i compiti della quinta elementare, lui poneva le basi per un brillante futuro.
Per anni però ho vissuto ai margini di un movimento che diventava sempre più grande e delle cui meraviglie finalmente e totalmente mi sono innamorato nell’estate del 2011… da allora si può dire che io e la birra artigianale siamo inseparabili.
Sono un autodidatta (adoro leggere), ho però frequentato alcuni corsi presso i birrifici vicino a casa (mi piace anche ascoltare, soprattutto i birrai!). Grazie ad un tifoso lariano del West Ham (di cui forse un giorno vi racconterò), riesco facilmente a raggiungere birre da tutto il mondo, dalla Danimarca al Giappone, passando per Nuova Zelanda, Francia, Inghilterra, Belgio, Germania, U.S.A., Italia e chi più ne ha più ne metta…e dove non arriva lui, c’è sempre internet!
Fosse per me sarei sempre in giro per il mondo, scoprire nuove culture mi affascina soprattutto attraverso la musica, il cibo e, perché no, la birra. Da sempre sono appassionato di cucina, cerco di scavare a fondo nella tradizione senza mai chiudere la porta alla creatività. Sfoglio volentieri, anche solo per passare il tempo, libri di ricette e ne ho una piccola collezione comprata in tutto il mondo (beh, più o meno tutto). Questa mia passione si è unita a quella della birra sfociando nella ricerca dell’ abbinamento perfetto.
Dal 2012 sono homebrewer. Producendo birra mi piacerebbe imparare a conoscere gli aromi del luppolo e le sfumature del malto, l’utilizzo dei lieviti e l’influenza che ha l’acqua sulla nostra bevanda preferita (la sperimentazione in prima persona è fondamentale!!).
Attraverso questa nuova esperienza con www.giornaledellabirra.it vorrei poter condividere con voi le mie idee e le mia scoperte, confrontarmi e soprattutto ampliare i miei orizzonti! Tra i miei ispiratori, l’autore Jef Van Den Steen ed il suo libro Gueuze & Kriek: The Magic of Lambic