Numero 04/2019

22 Gennaio 2019

Birrificio del Forte: un “tuffo” tra birre e premi di qualità

Birrificio del Forte: un “tuffo” tra birre e premi di qualità

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Un birrificio artigianale racchiuso tra il mare e le montagne di marmo, nato dalla passione di Francesco Mancini con il quale decidiamo di scambiare due parole per capire cosa si cela dietro ad una realtà che riesce a distinguersi per qualità e cura delle sue produzioni, rimanendo legato alla classicità degli stili. Un equilibrio non facile da mantenere, in un periodo in cui la birra artigianale è in continua evoluzione e alla ricerca di nuove vie.

 

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Dove inizia la storia del Birrificio del Forte?

Il birrificio è nato nel 2011, anche se la passione per il mondo brassicolo è iniziata fin da quando ero un ragazzo. Prima assaggiavo solamente, poi ho deciso di iniziare a fare birra in casa con una dedizione che è cresciuta nel tempo. Quando poi sono diventato consigliere di Unionbirrai e sono entrato in contatto con quello che era effettivamente il movimento della birra in Italia, ho deciso che era arrivato il momento di aprire il mio birrificio. Siamo partiti da zero, ma avevamo già le idee chiare su un impianto che potesse darci la possibilità di implementare il nostro lavoro. Infatti, in breve tempo, i volumi dei compiti da svolgere sono diventati tali che da solo non riuscivo più a stare dietro al processo produttivo che si era innescato, non mi bastavano più le 12-13 ore di lavoro al giorno che svolgevo. Così è arrivato Andrea, il nostro birraio, che ha preso in mano l’impianto e le ricette mantenendo l’impostazione che avevo dato, lasciando inalterata la filosofia delle birre e l’attenzione al dettaglio che ho sempre messo anche io.

 

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Una delle peculiarità del birrificio è la capacità di realizzare una semplicità da chiudere in bottiglia partendo però da una complessità produttiva. In che modo riuscite a coniugare le due cose?

Coniugare le due cose è una delle nostre sfide quotidiane. È come accade anche in cucina: riuscire a fare un piatto ben equilibrato con pochi ingredienti è più difficile che andare a caratterizzarlo coprendolo con aromi e sapori particolari. Per me lo stesso vale nella birra.  Riuscire a mantenere una semplicità e quindi una facilità di bevuta, arrivando ad avere una birra equilibrata alla fine, è una grande sfida perché bisogna dosare bene gli ingredienti e i passaggi. Ad esempio, i luppoli li prendiamo all’estero, cerco sempre di reperire le materie prime nel luogo di origine. Ma l’acqua è la nostra e lavoriamo tanto anche su questo elemento in quanto risulta piuttosto dura, essendo situati a valle di montagne di marmo. Dobbiamo perciò addolcirla o salarla a seconda delle birre che produciamo per cercare di riprodurre le condizioni originarie del luogo di nascita del prodotto. La birra deve essere un momento di piacere, sia da sola che abbinata ad un piatto. Non deve stancare, deve dare una piacevolezza nella bevuta tale da invogliarci a berne ancora. Questo è quello che cerco di riportare all’interno del mio prodotto, facendo anche ricerca, anche personalizzandole, senza perdere mai il piacere della bevuta perché di birre se ne assaggiano tante, ma se ne bevono poi poche. Intendo questo quando parlo di semplicità, anche se poi alla fine la semplicità è una delle cose più difficili da realizzare.

 

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Una ricerca ed un lavoro che sono ampiamente riconosciuti come dimostrano i numerosi premi che arrivano ogni anno, come il recente bronzo all’EuropeanBeerStar 2018 vinto con la Regina del mare.

Le birre in gara sono tante e riuscire a vincere un premio in concorsi come questo è una bella sfida, considerando anche il fatto che ogni anno aumenta il numero dei birrifici che partecipano. Portare a casa questo premio quindi ci dà una grande soddisfazione ed è una conferma di una costanza qualitativa sia della birra, già premiata nel 2014 con un argento e nel 2016 con un oro, sia del birrificio che è salito per tre volte sul podio dell’EuropeanBeer Star. La Regina del mare è stata anche premiata come birra dell’anno al BeerAttraction di Rimini che è il più importante concorso nazionale. In sette anni siamo riusciti sempre a portare a casa qualche premio, più o meno importante.

 

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Senza dimenticare l’oro de La Mancina al World Beer Cup di quest’anno…

È stata una vittoria inaspettata. Credevo nella birra e nelle sue potenzialità, ma non mi immaginavo tanto. Il World Beer Cup è un concorso che si svolge in America ogni due anni ed è il più importante a livello mondiale, anche solo per i numeri. Già due anni fa avevamo mandato le birre e ho saputo dal feedback delle schede di degustazione che eravamo andati in finale, ma non siamo riusciti a vincere nessun premio, ma ero già contentissimo. Quest’anno la vittoria della Mancina è stata una grande soddisfazione, ma così inaspettata che non ho seguito neanche la premiazione che chiaramente è avvenuta di notte. Poi la mattina quando mi sono svegliato ho visto un’infinità di messaggi sul cellulare ed è stato in quel momento che ho saputo del premio. Sono andato a rivedermi la registrazione della premiazione perché non ci credevo. L’oro è diventato realtà quando siamo andati a ritirare il premio a Berlino. È stata una bella esperienza, una punta di orgoglio, un grande stimolo per tutti perché c’è sempre un grande impegno a 360°. Al di là della produzione che è solo una parte della macchina che è il birrificio, mettiamo grande cura anche in tutte le altre fasi produttive: nell’imbottigliamento, nello stoccaggio, nel lavoro d’ufficio, l’assistenza al cliente. Attualmente il 70% della nostra produzione è in bottiglia e lavoriamo tanto con la ristorazione a livello nazionale. Non è un mercato facile, infatti molti birrifici lo hanno abbandonato negli anni. Probabilmente l’equilibrio delle nostre birre permette di abbinarle facilmente alle pietanze. I clienti ci chiamano per chiederci consigli di abbinamento. Ripeto, c’è grande cura ed attenzione in ogni singola fase.

 

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Parliamo allora di questa produzione: sei sono le birre Fondamentali, che costituiscono le fondamenta appunto del lavoro del vostro birrificio, tutte con un nome particolare.

Tutte le birre sono ispirate alla tradizione classica prevalentemente belga e inglese, che poi sono le birre che io ho sempre apprezzato di più. Le Fondamentali rappresentano la gamma base e il nostro lavoro quotidiano per 365 giorni l’anno. I nomi che abbiamo scelto sono strettamente legati alle caratteristiche del prodotto.

La Cento volte forte è una Blanche, molto leggera. È stata fatta per il centenario del comune di Forte dei marmi, pensata per essere abbinata a piatti leggeri, anche a base di pesce.

Gassa d’amante è una Golden Ale, chiara classica. Gassa d’amante è il nome del nodo base della marineria e infatti è la nostra birra base, la più semplice di tutte, non ha nessuna speziatura. Come ho scritto in etichetta “compagna di lunghe navigazioni”, proprio perché accompagna qualsiasi momento, è una birra della quale non ci si stanca.

La Mancina è una Belgian Strong Ale. Riprende il nome della gru che veniva usata sul pontile di Forte dei Marmi per caricare i marmi sulle navi. Stessa cosa vale per la birra, traslando la metafora sugli abbinamenti birra- cibo. Non c’è una pietanza che questa birra non riesca ad accompagnare, è veramente poliedrica, la sua nota dolce e fruttata molto intensa si sposa alla sapidità di alcuni piatti, ma anche alla dolcezza di altri senza diventare mai pesante. Sono convinto che nessun piatto sarà mai abbinato male con questa birra.

La Regina del mare è una Dubbel, quindi una Belgian Strong Dark Ale. Il suo nome inneggia alla femminilità perché, per me, ha nel suo complesso tanti parallelismi con questo mondo. Un aspetto molto attraente con i suoi riflessi color rubino ed un profumo molto delicato, ma caratterialmente forte e decisa proprio come una donna. La Regina del mare è anche una velata dedica alla ex regina del Belgio, Paola Ruffo di Calabria che è nata a Forte dei Marmi, sottolineando così ulteriormente il legame Forte dei Marmi- Belgio.

Poi abbiamo le due birre che sono più prettamente anglosassoni: la Meridiano zero e la Due cilindri.

La Meridiano zero è una English Pale Ale, come ci tengo a precisare, perché ha nelle sue corde questo animo molto anglosassone che ad oggi si trova con difficoltà anche in Inghilterra stessa. Infatti utilizziamo luppoli di stampo inglese che non hanno questa luppolatura moderna, ma riportano in sé delle note retrò. Il nome di questa birra ambrata richiama la navigazione e soprattutto il meridiano di Greenwich che è il meridiano fondamentale così come le Pale Ale sono le birre fondamentali per l’Inghilterra.

La Due cilindri, invece, è una Porter. Il nome fa riferimento all’invenzione del motore a scoppio fatta da Eugenio Barsanti e Felice Matteucci che erano rispettivamente di Pietrasanta e di Lucca. Un forte legame col territorio e poi il colore nero di questa birra ricorda le tonalità dell’olio del motore e quindi non potevamo non fare riferimento a questa invenzione.

 

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Gassa d’amante e Meridiano zero tra l’altro sono anche senza glutine e sono anche state premiate per questa loro caratteristica.

Gassa d’amante si è aggiudicata l’oro al World Gluten Free Beer Award 2018 e la Meridiano zero si è classificata prima all’Italian Low Gluten Beer Award 2017.Sono due birre praticamente stabilmente senza glutine. Non sono andato a cercare questa caratteristica, ma me la sono ritrovata, detto sinceramente. Nel senso che il glutine è una proteina che durante la produzione può andare a decantare o a disgregarsi. In certi tipi di lavorazione, se si vuole una birra pulita dal punto di vista proteico, il glutine per forza va a decantare. Io non ho mai la certezza che entrambe le birre ne siano prive, anche perché sono fatte con malto d’orzo che chiaramente contiene glutine, ma alla fine del processo produttivo mando ad analizzare un campione di quel lotto e a quel punto posso sapere se il mio prodotto è gluten free e inserire la dicitura in etichetta. Con il tempo abbiamo affinato la procedura in modo da avere due birre stabilmente senza glutine, senza intaccare la qualità del prodotto. È una garanzia in più che non toglie niente alla produzione base.

Arriviamo dunque alle quattro cosiddette Celebrative: cosa hanno di speciale queste birre?

Le celebrative, come dice il nome stesso, sono nate proprio per celebrare un momento particolare, ognuna ha una particolarità. Non facciamo mai grosse produzioni, in modo che, quando sono terminate all’interno dei nostri magazzini, aspettiamo ad iniziarne la lavorazione seguendo la loro stagionalità.

Partiamo con Colle Sud che esce nel periodo primaverile. Si chiama così in riferimento alla conquista dell’Everest da parte del neozelandese Hillary e del suo sherpa nepalese. I due esperti alpinisti sono riusciti nell’impresa facendosi strada attraverso il colle sud appunto. Questa birra inoltre è caratterizzata da un luppolo neo zelandese e da un pepe nepalese, portando il prodotto su una grande vetta aromatica. Infine esce in primavera nello stesso periodo in cui è avvenuta la conquista dell’Everest, tutto combacia.

La Saison del Villaggio è una birra che nasce per celebrare anche un momento di amicizia con un birrificio belga, la Brasserie de Cazeau. Ci siamo conosciuti al Villaggio della birra quando eravamo ancora homebrewer ed è nata un’amicizia che è rimasta negli anni e quando ho ricevuto la richiesta di partecipare al Villaggio della birra abbiamo deciso di fare insieme questa Saison per l’occasione. All’inizio ci siamo alternati nella produzione, una volta sono venuti loro, una volta sono andato io in Belgio e da lì ho poi deciso di inserirla nella gamma delle stagionali. È una classica Saison belga aromatizzata ai fiori di sambuco, proprio per rispettare la ricetta della Brasserie de Cazeau.

La Fior di Noppolo è un’American Pale Ale prodotta con del luppolo fresco. Anche questa nasce prima dell’apertura del birrificio, quando facevamo la birra con qualche piantina di luppolo autocoltivata che avevamo in casa. Ha chiaramente una grandissima stagionalità perché va fatta al momento del raccolto del luppolo che deve essere rigorosamente fresco. Il noppolo non è altroche il luppolo in dialetto versiliese, così come lo chiamava mio nonno quando ero piccolo e mi preparava frittate con il noppolo fresco, come diceva lui.

La Cintura di Orione è una birra ben strutturata che fa una bella maturazione. La produciamo all’inizio dell’anno e poi la facciamo maturare fino in autunno, momento in cui la immettiamo sul mercato. Anche qui il nome ha un significato specifico. La cintura di Orione alle nostre latitudini è visibile solo nel periodo invernale e questa birra è pensata appositamente per le fredde serate invernali. Inoltre utilizzo una piccola percentuale di miele diverso ogni anno: quest’anno tiglio, ma abbiamo usato nelle versioni precedenti anche miele di ailanto, di erbamedica, di girasole, di coriandolo. Abbiamo già individuato l’idea per l’edizione 2019 che sveleremo solo all’uscita della prossima produzione.

 

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Una curiosità: ponete molta attenzione ha creare un packaging particolare e veramente molto studiato, come dimostra il forte legame tra il nome della birra e la birra stessa. Niente è lasciato al caso. Perché allora avete fatto la singolare scelta di non indicare lo stile birrario in etichetta?

Il prodotto artigianale deve contraddistinguersi non per la particolarità, ma per la qualità secondo il mio punto di vista ed è per questo che non ho mai fatto birre estreme, ma ho sempre cercato di farle bene. Non ho indicato la categoria in etichetta, nonostante le birre la rispettino, perché non mi sono mai voluto legare ad uno stile preciso perché la birra deve piacere per quello che è, indipendentemente dallo stile. Questa è una delle poche critiche che abbiamo ricevuto in questi anni di lavoro, soprattutto da parte di appassionati.

Ma non vi siete limitati solo a produrre birre in stile. Il birrificio ha iniziato proprio quest’anno un nuovo progetto che mette in contatto il mondo brassicolo con quello enologico: Le radici.

Proprio quest’anno siamo usciti con questi due prodotti che sono un po’ fuori dalle corde rispetto a quella che è la nostra produzione. Anche la linea grafica è staccata dalle altre birre perché sono due prodotti più estremi, anche se rimane comunque il nostro logo poiché, anche se vanno su un territorio diverso, rimane sempre quell’equilibrio che ci distingue. Si sente la mano del Birrificio del Forte. La mia scelta è ricaduta nella ricerca di un prodotto che andasse a richiamare il mondo enologico che è una parte imprescindibile della tradizione territoriale, inserendo così nel percorso produttivo del birrificio le nostre radici, da qui il nome della nuova linea. Attualmente abbiamo prodotto solo due birre fatte con mosto d’uva: il Tralcio e la BirraSanta. Il nostro obiettivo è quello di implementare questa linea con prodotti che abbiano sempre un contatto fra questi due mondi.

Il Tralcio è una birra che fa una doppia fermentazione con il lievito della birra e con il lievito enologico, poi viene rifermentata in bottiglia con lievito da Champagne. Ha quindi un perlage abbastanza sostenuto e va servita in flute o coppe da spumante. Ha una forte gradazione alcolica ed è molto adatta per fare aperitivi. È stata prodotta con la raccolta dell’uva dello scorso anno. Non la produciamo in barrique, ma abbiamo preferito mantenere la pulizia dell’acciaio.

La BirraSanta è un prodotto ancora più particolare perché l’idea era quella di riprodurre un Vinsanto partendo però dal malto d’orzo. Questa birra viene messa nelle botti di Vinsanto dove è ancora presente il lievito madre. Quindi tutto il processo di macroossidazione e affinamento fermentativo avviene sulla madre del Vinsanto riprendendo così tutte le sue caratteristiche: si presenta priva di perlage, non fa schiuma, alcolicità alta, una dolcezza residua importante. Una birra che si sposta decisamente a fine pasto. L’ho definita birra nell’animo, Vinsanto nello spirito perché è fatta con malto d’orzo, ma vuole emulare il più possibile il Vinsanto. La BirraSanta è uscita quest’anno ma ha già fatto due anni in botte. Non ci sarà un’annualità su questa birra, perché a mio avviso non è prevedibile un’annualità per questo prodotto. Ogni botte evolve a suo modo, ha i suoi lieviti dentro, quindi prende complessità e aromaticità diverse. Le future uscite di questo prodotto potranno essere frutto di una sola barrique o di blend di barrique di annate differenti. Vedremo, è ancora un progetto tutto in fase evolutiva. Non ho neanche legato questa birra ad un anno definito. L’ho semplicemente chiamata edizione statuario, legandomi al marmo del nostro territorio perché lo statuario è il marmo base sul quale si scolpiscono tutte le sculture. Per me la BirraSanta è la base dalla quale partire per fare le successive produzioni che avranno comunque tutte nomi di pietre.

 

Le basi ci sono e sono consolidate, l’equilibrio che è alla base della filosofia del Birrificio del Forte è ormai assodato ed i numerosi premi lo dimostrano. Da qui in poi si può solo crescere e guardare avanti, con nomi sempre più azzeccati per ogni prodotto che verrà. Lascio Francesco alle prese con i suoi pensieri produttivi. Magari in queste fredde serate invernali si lascerà guidare dalla sua Cintura d’Orione per riuscire a portare Le Radici in porti sicuri.

 

Maggiori informazioni: www.birrificiodelforte.it

 

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Maria Giulia Ruberto
Info autore

Maria Giulia Ruberto

La mia passione per la birra nasce esattamente due anni fa, quando per la prima volta mi sono cimentata nella spillatura dietro al bancone di un bar. Non so se si possa definire una vera e propria passione, ma so che quando sono lì a “creare” le mie birre, mi sento al posto giusto. Così ho deciso di chiudere in un cassetto i cinque anni investiti nel prendere la laurea in Comunicazione per seguire la mia nuova strada di barista. Da lì è stato un vortice, mi sono trasferita dalla Toscana al Trentino, ho seguito corsi formativi sulle birre e ho deciso di rispolverare la mia passione per la scrittura, chiaramente in ambito birrario. E da qui in poi: avanti a tutta birra!