Numero 34/2020

19 Agosto 2020

Il sorriso della Wabanaki

Il sorriso della Wabanaki

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Sono le dieci e c’è già un caldo insopportabile mentre ci apprestiamo a partire da Catanzaro Lido. D’altro canto un meteo troppo diverso, il venticinque di luglio, in Calabria, era quanto meno improbabile.Le persone normali in queste condizioni vanno a mare a rigenerarsi, ma noi siamo persone a dir poco inconsuete e questa giornata è interamente dedicata alla birra artigianale. Siamo in cinque,eppure, per effetto delle restrizioni post-Covid, siamo costretti ad usare due auto invece che una soltanto. Sono molto contrariato, intanto perché significa senz’altro rinunciare a qualcosa nella conversazione da viaggio, e poi perché nessuno di noi avrebbe voluto inquinare più del necessario. Nella mia auto, oltre allo scrivente, mia moglie Anna, e sua cugina, Caterina, bolognese di profondissime radici calabresi. Nell’altra auto invece, Stella Priamoe Antonio Baselice,due giovani (di sicuro più giovani di noi di almeno un ventennio!) conosciuti qualche giorno prima alla Tana Public House, il pub sotto casa nostra, più o meno dove oggi ci siamo dati appuntamento per questa sortita brassicola nella Locride. Siamo tutti appassionati di birra, di buon cibo e di viaggi. Per la verità i nostri giovani amici toscani sono pure qualcosa in più che non semplici appassionati. Il papà di Stella, infatti,è socio di un noto birrificio pisano (La Gilda dei Nani Birrai), mentre Antonio padroneggia avanzate competenze da homebrewer. Si parte. Usciti dal traffico estivo di Catanzaro Lido, imbocchiamo la famigerata S.S. 106, una strada davvero pericolosa se si hanno velleità da gran premio, ma molto gradevole si è disposti a godere il ritmo lento della vacanza. Ed oggi, sabato, siamo tutti in vacanza. Il viaggio non è lungo ma dovremo attraversare diversi paesi dislocati lungo la costa ionica. Prevediamo un’ora e mezza. Nella nostra auto si alternano momenti di conversazione a momenti di silenzio. Lo sguardo viene spesso rapito dalla bellezza selvaggia di alcuni tratti della costa ionica catanzarese e reggina. Ancora oggi, transitando lungo queste coste deserte, a sole poche centinaia di metri dal blu intenso dello Ionio, ci si chiede come possa essere venuto in mente a qualcuno di trasformare questo paradiso incontaminato in un incubo post-industriale. E se qualche localizzato scempio del passato segnala ai posteri la devastazione prodotta da una certa irrealistica ingegneria socio-economica, per fortuna, l’illusorio sogno di un’impossibile industrializzazione realizzata in spregio di qualunque autentica vocazione territoriale,è sfumato da tempo da queste parti.

Arriviamo in orario a Siderno, principale centro della Locride. Imbocchiamo la circonvallazione e raggiungiamo in breve il birrificio Limen. Nicola è lì ad aspettarci. Puntuale ed affidabile come sempre. Ci accoglie con la sua naturale timidezza. In epoca post-Covid non ci si abbraccia né ci si bacia, come d’uso qui normalmente,anche tra uomini. Ma i complimenti che gli tributo con una certa enfasi nello stringergli la mano sono tutti per lui, e tutti ampiamente meritati. La Guida alle Birre d’Italia 2021,curata da Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni, nel fare del birrificio Limen un’eccellenza brassicola di livello nazionale, ha certificato qualcosa che noi, in fondo, abbiamo sempre saputo. Non è cosa da poco. Perché a volte le cose vanno come devono andare, e la speranza si gioca tutta su questo piccolo spazio di giustizia possibile.

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Con incredibile naturalezza, a pochi minuti dal nostro arrivo, Antonio prende in mano la guida delle operazioni didattiche, dispensando, nel fresco del birrificio, competenti spiegazioni a beneficio dei neofiti del gruppo curiosi di comprendere il processo del brassaggio. Nicola, sollevato dall’ansiogena incombenza di spiegare il suo mondo, comincia a spillare generose pinte di Wabanaki,ormai prossima all’infustamento,direttamente dal maturatore. La fragranza del luppolo Mosaic si impadronisce dei nostri sensi, con la complicità dei sette gradi alcolici di questa birra straordinaria. Una birra che sa farti sorridere. Basta lo sguardo di mia moglie, Anna, a spiegare senza troppe parole cosa intendo.

Ma da dove viene tutto questo? Andiamo con ordine. Nicola Ferrentino, classe 1975, nato a Cosenza, ma vissuto per molti anni a cavallo tra la Piana di Gioia Tauro e la Locride. Geometra di formazione e predestinato all’emigrazione come molti giovani calabresi. Matura diverse esperienze lavorative fuori dai confini regionali, dove si avvicina anche alla birra artigianale (soprattutto agli stili belgi) come consumatore, e dove comincia a muovere i primi passi da homebrewer. Sostenuto da sua moglie (e socia, ora di minoranza, almeno da quando lavora per il Comune di Gioiosa) Angela, architetto, continua ad accumulare esperienza di homebrewingnegli anni dal 2008 al 2012, fino a mettere in piedi la LimenBrewerynel 2013. Se è possibile che al tempo degli antichi romani, o anche prima, tra i coloni greci, in queste pianure costiere si coltivasse l’orzo e si producesse birra, da almeno duemila anni questa regione è il dominio incontrastato della viticoltura e del vino. Quanto coraggio ci vuole per invertire il corso di una storia millenaria e decidere di scriverne una nuova, completamente diversa? Quanto coraggio e quanto talento ci vogliono per affrontare il proprio destino armati solo di un’esperienza da homebrewerautodidatta e dopo aver partecipato a qualche degustazione promossa da Unionbirrai?

La Limina, Limen in latino, è il toponimo che individua la cresta dell’Appennino in questo preciso punto della Penisola Italiana. Il confine tra Aspromonte e Serre Calabre, ma anche tra Ionio e Tirreno.Quella stessa barriera che divideva (ma teneva anche insieme) Nicola e Angela prima che si sposassero.

 

Ci spostiamo in auto in una rinomata Osteria Slow Food poco distante, U Ricriju. Francesco Trichilo e la sua compagna sono già ai fornelli. Ci salutano con un ampio e generoso sorriso. Solitamente a pranzo è chiuso, ma oggi ha fatto un’eccezione per noi. Nel frattempo si sono aggiunti a noi Angela, l’angelo custode di Nicola, e il piccolo Giovanni, il loro primogenito. Francesco non finisce di sorprendere, ogni volta che siamo suoi ospiti, ed ormai sono parecchie volte, per le storie di territorio e di tradizione che racconta, anche attraverso i prodotti che serve a tavola e la musica con la quale delizia i suoi avventori. Antiche ballate intonate con uno strumento che vanta almeno mille anni di storia: la lira calabrese. Storie di pecore cotte per ventiquattrore in terracotta sulla flebile fiamma di un lumino ad olio, storie di allevamento e coltivazione in prima persona, nelle quali il chilometro zero sembra un’invenzione da multinazionali, storie di volontà e legame indissolubile con la terra il suo, che meriterebbe senz’altro un articolo a sé stante, se solo si decidesse a servici della birra artigianale. Quella ce la siamo portata dal birrificio di Nicola, fresca e rigeneratrice. E mentre Francesco attacca con la sua lira, complice una certa gradevole ebbrezza, le domande prendono vita da sole, senza che io ne abbia davvero alcuna volontà.

 

Nicola, cosa ha motivato la decisione di ritornare e restare in Calabria?

 

Il legame con mia moglie prima di tutto. E poi il legame viscerale con la mia terra.Potrei risalire la S.S. 106 fino a Catanzaro e oltre, e poi ridiscendere verso sud seguendo l’autostradavia Lamezia centinaia di volte (che poi è il giro che faccio per le consegne) senza smettere mai di stupirmi ad ogni occasione per la bellezza del posto in cui viviamo.

 

Nicola, poche settimane fa la Guida alle Birre d’Italia 2021 di Slow Food, curata da due esperti del calibro di Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni, ha tributato alla LimenBrewery il prestigioso riconoscimento di “eccellenza”. In Calabria un solo altro birrificio ha ottenuto l’autorevole endorsement della Guida. Sapendo quanto sia difficile conseguire un risultato così importante immagino la notizia ti abbia riempito di orgoglio.

 

Confesso di aver provato un fortissima emozione nel leggere l’email di Eugenio (Signoroni, N.d.A.). Subito dopo però ho sentito anche un grande appagamento per quello che faccio e per come sto cercando di farlo.

 

Ritieni, o comunque speri, che questo riconoscimento possa influire sull’evoluzione della tua attività?

 

Ne sono convinto. Anzi, posso sbilanciarmi fino ad affermare che già si vedono i primi frutti di questo grande risultato.

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La Calabria, è ampiamente noto, è la regione con il reddito medio pro-capite più basso d’Italia, la quale, anche in ragione di una serie di criticità infrastrutturali, sconta un certo isolamento dal resto del Paese ed è continuamente esposta al rischio di restare tagliata fuori dai principali circuiti commerciali. Inoltre, è un territorio poco densamente popolato, il che significa un ridotto numero di consumatori, in particolare per la birra artigianale, che con il suo modesto 3,5% della produzione nazionale di birra, è ancora essenzialmente un prodotto di nicchia. Quali difficoltà aggiuntive, secondo la tua personale esperienza, comporta praticare il brassaggio professionale in Calabria rispetto ad altre regioni più ricche e meglio organizzate del nostro Paese?

 

A parte una cronica indisponibilità locale di materie prime e relativo aggravio di costi per l’approvvigionamento, la maggiore difficoltà commerciale risiede soprattutto nello scetticismo dei gestori dei locali. Da una partei gestori calabresi pensano che in Calabria manchino le competenze per produrre birra di qualità. E questo, piano piano, verrà confutato dai risultati che si spera riusciremo ad ottenere. Dall’altra parte va semplicemente riconosciuto che moltissimi (non tutti per fortuna) publicannon intendono fare qualità nel loro approccio alla birra e quindi preferiscono fare una politica di prezzo che fatalmente li indirizza verso le birre industriali.

 

Raccontaci la tua produzione brassicola, le tue birre più significative ed, ovviamente, quelle premiate dalla Guida.

 

La Yankeeè stata la mia prima IPA, realizzata in stile inglese e con aggiunte di luppoli americani seguendo i consigli di molti amici appassionati bevitori e conoscitori dello stile.Neither-The-Dogs(improbabile traduzione inglese dell’intraducibile espressione dialettale Mancu-li-cani N.d.A.) nasce dalla collaborazione con Andrea di Officina PAB. Si tratta di una IPA leggera, molto luppolata, con luppoli dell’area pacifica…

 

A questo punto Nicola tace, presumibilmente in attesa di una nuova domanda. In realtà, avrebbe potuto continuare, perché l’offerta brassicola di LimenBrewery è ben più vasta di quanto la solita modestia di Nicola ci voglia raccontare e di sicuro più della sola produzione negli stili inglesi o americani. In effetti, la proposta di Limenspazia con indubbia eleganza tra gli stili belgi (spaziale la SaisonJermana, con segale autoctona dell’Aspromonte, localmente detta, appunto,jermanu; assai corposa e strutturata la Belgian Strong Ale Fester, ma anche complessa nel suo equilibrio tra alcol e sentori speziati e di frutta secca). Negli ultimi due anni Nicola si è cimentato anche con le birre a bassa fermentazione con ottimo riscontro. Non mancano diverse ottime birre di frumento tra cui la rinfrescante Wit e la sorprendente American Wheat Ale Arzura (da arsura, sete, nel dialetto locale), la risposta calabrese al Global Warming.

 

Una delle birre più identitarie della LimenBrewery, a mio parere, è la Wabanaki. Raccontaci questa birra che registra tutt’oggi un incredibile successo soprattutto in estate, nonostante la sua gradazione alcolica di 7,0°. I nostri lettori vogliono sapere tutto di questa birra: il significato del nome, lo stile di appartenenza, tutto quello che puoi svelare dei suoi segreti che ne fanno un prodotto di enorme successo.

 

Wabanakiera una delle First Nations, una confederazione di tribù di Nativi Americani che vivevano sulle coste orientali del Nord America, in quel vasto territorio parte del quale oggi chiamiamo New England. Il significato del termine wabanakinon è univoco, ma spazia da “popolo dell’alba” a “terra dove nasce il sole”, sempre con un evidente riferimento all’est. Quello stesso est che caratterizza la costa ionica della Calabria in cui vivo. Per questo ho voluto dare questo nome alla mia NEIPA (New England IPA N.d.A.) realizzata con solo malto Pils, lievito Vermont e tanto luppolo dai sentori tropicali.

 

Qual è l’apporto nelle tue birre, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, di ingredienti locali? Hai nuovi progetti nella direzione della valorizzazione delle produzioni agricole local o addirittura del foraging?

 

Di locale o quasi, quando le ricette lo consentono, prendoi malti da Italmaltdi Melfi. Per quanto riguarda i cereali non maltati faccio uso di Senatore Cappelli e segale coltivati in Aspromonte. Ho in animo di produrre, prossimamente, una Spruce Ale con aggiunta di germogli di abete bianco appenninico. Mi sono già procurato la materia prima e presto conto di iniziare la sperimentazione. Vedremo.

 

 

Circola voce che tu sia in procinto di ingrandire e spostare in una sede più comoda la tua attività. Cosa ci puoi dire a tal proposito?

 

È vero. L’attività di LimenBrewery potrebbe crescere perché la domanda in effetti c’è, sia localmente che sul territorio nazionale. L’attuale sistemazione del birrificio impedisce tuttavia ogni ulteriore espansione, pertanto è imperativo sposarsi in una sede più ampia. Stiamo vagliando diverse possibilità, ivi compreso un trasferimento al di là della Limina, nella Piana.

 

Preso commiato da Francesco ci spostiamo verso Locri, percorrendo strade a me del tutto sconosciute. L’obiettivo del pomeriggio è raggiungere l’Officina PAB, sì, proprio con la “A”. Cosa in realtà significhi questo inconsueto acronimo ce lo spiega Andrea Filocamo, classe 1977, locrese, con una laurea in giurisprudenza nel cassetto ed all’attivo un pool di esperienze lavorative a dir poco eterogeneo (bracciante, imprenditore agricolo, tipografo, applicato di segreteria, gelatiere) fino ad diventare, appunto,titolare di Officina PAB. PAB mi spiega, sta per Piccolo Avamposto Birrario. E si intuisce che venga da lontano anche questo acronimo. Mentre parla continua a spillare birre e a descriverle, a raccontare le storie delle persone che ci sono dietro ciascuna di esse. E niente, vorrà dire che dovrò fare anche a lui qualche domanda. L’atmosfera sembra proprio quella giusta, caldo soffocante a parte, naturalmente.

 

Allora Andrea, qual è il tuo percorso di avvicinamento alla birra artigianale, come consumatore ed anche come homebrewer?

 

Con buona pace dei divieti di legge sul consumo delle bevande alcoliche, già da ragazzino ho avuto l’opportunità di assaggiare la diversità del mondo brassicolo belga. I miei cugini ogni anno venivano in Calabria per le vacanze estive, mai senza una scorta di bottiglie in macchina. Ed un po’ come si fa trasgredendo col vino da queste parti, permettendo piccoli assaggi ai minorenni, ho gradualmente iniziato a familiarizzare con la birra artigianale. A partire dal 2006 ho assaggiato diverse birre autoprodotte in zona e nel 2012 ho cominciato a giocare con i kit, non fosse altro che per poter bere qualcosa di diverso dalle lager industriali che allora monopolizzavano l’offerta locale. Il passaggio all’allgrainera solo questione di tempo e infatti con l’incoraggiamento di Nicola Ferrentinoe la disponibilità della sua attrezzatura ho cominciato a muovere i primi passi da homebrewer.

 

Che tipo di formazione puoi vantare in campo brassicolo?

 

A partire dalle prime esperienze di homebrewing,nel 2012, non ho mai smesso di leggere, chiedere a persone più esperte e frequentare corsi sulla degustazione, la gestione del birrificio, la spillatura, l’abbinamento cibo-birra. In particolare, però, trovo affascinante la storia della birra.

 

Andrea, come nasce il progetto Officina PAB e con quali finalità? Darti una originale possibilità occupazionale qui nella tua Locride, od anche offrire ai tuoi concittadini locresi l’opportunità di godere della meravigliosa varietà e qualità delle birre artigianali?

 

Ho maturato la decisione di rientrare in Calabria poco prima dei trent’anni. I motivi sono diversi: avevo riscoperto il piacere di vivere lontano dalle metropoli e la bellezza dei luoghi natii, dal mare alla montagna, passando per la campagna; avevo stabilito di stare accanto ai miei genitori e alla mia famiglia in generale e di fare la mia parte nella rinascita e nello sviluppo della mia terra.Soprattutto desideravo che mio figlio crescesse in Calabria, in un paese a misura d’uomo.Quando ho lasciato il lavoro in tipografia, sebbene mi appassionassemoltissimo, ero consapevole che l’era della piccola tipografia artigianale era giunta al capolinea. La stampa offset ormai è concentrata in enormi stabilimenti e l’unica possibilità di avere piccole dimensioni è convertirsi al meno intrigante digitale, a mio parere, rispetto alla litografia. All’epoca già producevo discrete quantità di birra a casa e con risultati assai incoraggianti. Ho pensato: perché non farne un lavoro? La crescita esponenziale del settore in Italia, cui faceva da contraltare l’assenza totale di realtà produttive nel circondario della Locride, mi ha spinto a tentare questa strada. Pensavo però di aprire un birrificio, non un pub. Mentre studiavo come fare per aprire il mio birrificio ho scoperto che da pochissimo aveva aperto i battenti LimenBrewerya Siderno, a pochissima distanza da casa mia. Pensa che la dritta per trovarlo me l’ha data addirittura l’Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria. Così ho conosciuto Nicola Ferrentino, patron di Limen, e gli ho proposto di collaborare. Constatato che Limenlavorava egregiamente con i privati,senza tuttavia riuscire a trovare nei pub della zona partner disposti a scommettere sulle birre artigianali,costringendo quindi ad un sottoutilizzo dell’impianto (meno del 50%),ho proposto a Nicola di aprire un pub dove avrei servito le sue birre e le mie le avrei fatte produrre a lui.Era il dicembre 2015 e così ha preso corpo l’idea di un pub specializzato in birre artigianali, affiancandole ad un’offerta gastronomica che seguisse la stessa filosofia. D’altro canto, trovandoci in Calabria e non in Germania o in Inghilterra, la formula “birre e basta” non avrebbe certo funzionato e ho ritenuto che con la ristorazione avrei facilitato l’avvicinamento alle birre particolari che intendevo proporre nell’Officina PAB.

 

Il nome Officina evoca un luogo nel quale sia di casa la costruzione, di cose fisiche senz’altro, ma anche semplicemente di idee e di connessioni fra persone. PAB – Piccolo Avamposto Birrario, invece, e soprattutto il termine “avamposto”, riesuma ricordi da vecchio film western in bianconero, le atmosfere assolate dei fumetti di Tex Willer, i drammatici frangenti in cui uno sparuto drappello di soldati in divisa blu dell’esercito americano si ritrova a estremo presidio della frontiera occidentale degli Stati Uniti, contro orde di pellerossa ostili (salvo poi scoprire che i Nativi Americani altro non facevano che difendere la propria terra!) a bisdosso di mustang pezzati lanciati al galoppo. È così che percepisci il tuo beer-garden locrese? Un «avamposto» all’estremo confine di qualcosa?

 

Il termine Officinarievoca, prosaicamente, l’estetica del locale, che in origine era una falegnameria, ma soprattutto ambisce alla creazione di qualcosa.Le birre innanzitutto, ma anche la cucina, dove cerchiamo di partire il più possibile dalle materie prime di qualità. Infine, c’è anche un piano relazionale ed emotivo che consiste nella costruzione di una rete di connessioni, di messa in comune di saperi e conoscenze, di socialità condivisa. E a quest’ultima parte è ascrivibile l’acronimo Piccolo Avamposto Birrario, PAB. Perché vogliamo essere un pub, nel senso originario di Public House (traducibile in Casa Pubblica o Casa del Popolo).Vivendo in un ambiente molto distante dalle tradizioni birrarie del nord d’Europa, tutta la cultura del bere birra autentica è,naturalmente, da costruire da zero. In questo senso intendiamo essere un avamposto, una testa di ponte (per riprendere un altro termine mutuato dal gergo militare), un punto saldo per costruire, piano piano, una consapevolezza diversa del bere birra (ma anche degli alcolici in genere e del mangiare con gusto). Una cultura della socialità basata sull’attenzione e la curiosità per la diversità e lo sconosciutofacendo da apripista nel movimento birrario della costa Ionica.

 

Come si configura la proposta food dell’Officina PAB?

 

In Calabria quasi nessuno beve senza mangiare. Anche nel settore food, analogamente alle birre,abbiamo cercato inizialmente di valorizzare i prodotti locali di qualità. Presto però ci siamo accorti di dover cambiare formula e ci siamo riposizionati sul cosiddetto pub grub, cibo da pub, e quindi, senza campanilismi, abbiamo un’offerta che va dagli arrosticini abruzzesi al Fiscemcips (una reinterpretazione calabrese del Fish&Chips inglese), dalle calabresissime polpette di melanzane al più mittleuropeocheesburger, dal teutonico stinco di maiale glassato alla birra al local stocco in umido. E tanto altro ancora. In ogni caso non smettiamo di sperimentare e proporre nuovi piatti, ripresi dalle varie tradizioni, non esclusivamente quelle locali.

 

Il tuo locale riceve la menzione della Guida 2021 di Slow Food tra i 10 locali calabresi nei quali degustare birre di qualità. Anche questo è senza dubbio un riconoscimento prestigioso. Peserà sul futuro del tuo locale?

 

La menzione in questione, oltre a incoraggiarci e onorarci, è sicuramente una bella spinta nel farci crescere. Quanto peserà esattamente è difficile dirlo poiché il successo di un locale dipende da tanti fattori il cui singolo contributo è praticamente impossibile da determinare.

 

Traccia l’identikit dell’avventore medio dell’Officina PAB, o, se preferisci, i profili delle principali tipologie di clienti che la frequentano più assiduamente.

 

Questa è una domanda interessante e illuminante sotto vari aspetti. Partiamo da un assunto: non è un locale per ragazzi. Cioè, mentre molti pub locali hanno un pubblico principalmente di adolescenti o appena post-adolescenti i nostri clienti sono in media un po’ più grandicelli, diciamo dai trenta in su, e abbiamo parecchi clienti affezionati che hanno superato abbondantemente i 50. Inoltre si tratta di persone con un livello di cultura medio-alto, persone che hanno vissuto lunghi periodi fuori dalla Calabria e hanno quindi una visione un po’ più ampia del mondo. I motivi sono legati a quel discorso che facevo prima sull’attenzione a quel che si mangia e si beve e all’apertura mentale che è il presupposto della curiosità a conoscere ed incontrare il nuovo, il diverso. Infine, abbiamo una fascia ampia di famiglie, grazie allo spazio bimbi (al momento inutilizzato a causa delle normative anti-Covid, ma compensato dalla disponibilità dell’ampio beer-garden). Si tratta appunto di quei quarantenni che anche da genitori hanno mantenuto la voglia di socialità e vita pubblica.

 

Qual è il livello di conoscenza che i tuoi clienti hanno del variegato mondo delle birre artigianali?

 

Inizialmente la maggior parte delle persone si è avvicinata più per curiosità, per il cibo, per passare una serata diversa. Nel corso degli anni abbiamo organizzato diverse serate di degustazione e approfondimento sulla birra e inoltre c’è un lavoro quotidiano che è lo scopo del publican: spiegare agli avventori come capire e gustare quel che c’è nel bicchiere e cosa c’è dietro, come sono fatte le birre e le storie che racchiudono. Poi, in generale in Italia è stato fatto molto in questo senso. Ecco, peccherò di presunzione, ma credo che tutto questo lavoro alla lunga abbia dato i suoi frutti. Oggi la media dei miei clienti conosce le mie birre ed ha quantomeno un’infarinatura generale sulle birre artigianali.

 

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Andrea, te la senti di raccontareun episodio curioso legato a Officina PAB o in genere al mondo della birra che ti sia capitato da queste parti?

 

L’anno scorso il mio amico e collega, Daniel di BARK (Beer&BBQ), ha organizzato un corso di degustazione della birra in collaborazione con Fermento Birra,al quale ho fortemente voluto che partecipasse anche uno dei ragazzi che lavora con me. Quando è possibile, invito i docenti dei corsi a farmi visita nell’Officina PAB. In quello specifico frangente il discorso è caduto, fra gli altri argomenti, sul progetto BLU (Birrai della Locride Uniti) che unisce in rete, oltre all’Officina PAB e BARK anche i birrifici Limen e J4 (altro impianto al quale faccio riferimento per le mie produzioni, a Caulonia). Non ci crederai di quanto i nostri interlocutori fossero stupiti da tanta collaborazione tra presunti concorrenti. E pensare, che invece, a noi, unire le forze, è sembrata la scelta più naturale,e forse perfino l’unica possibile, per offrire concrete prospettive alle nostre attività.

 

Connessioni, certo. Quanto le attività di Nicola ed Andrea siano interconnesse, anche evidentemente con altre presenti in zona, dovrebbe essere ormai abbastanza chiaro. Sono parte di un’unica filiera, seppur elementare. Ed anche il tipo di lavoro che Andrea fa con la sua clientela in-formazione è cruciale. Il suo lavoro non si limita infatti alla semplice mescita e vendita, ma passa attraverso l’entertainmentevoluto, per spingersi fino all’educazione sensoriale e stilistica. Andrea costruisce giornalmente con la sua opera di divulgazione un mercato che prima non esisteva in questa area del Paese. È la cruna dell’ago, un passaggio angusto ma fondamentale, al quale hanno dovuto assoggettarsi prima o poi tutte le grandi firme della birra artigianale italiana. Appare evidente che però le dinamiche di fidelizzazione al prodotto artigianale possono svilupparsi a velocità differenti a seconda della quantità dei potenziali consumatori e del reddito medio pro-capite. Non è un caso che le grandi città siano spesso i centri di maggior consumo della birra artigianale. Ed in questa ottica appare ancora più meritevole quindi, in un territorio periferico e privo di qualunque tradizione brassicola,essere riusciti a creare uno zoccolo duro di estimatori dell’artigianalità brassata.Oggi Limen cede un approssimativo ma significativo 30% della sua produzione annuale ad Officina PAB. Non è poco, soprattutto dove l’individualismo è la regola, l’unica per non incappare in qualche fregatura. Collaborazioni verticali ed orizzontali, piccole dimensioni,flessibilità produttiva, innovazione, legame col territorio e la tradizione, struttura dei costi la più leggera possibile sono i segreti del successo brassicolo da queste parti. Un’altra realtà di una Calabria incredibilmente eterogenea,capace non di rado di mostrare quel volto positivo che troppo spesso sfugge al disattento luogo comune.

 

Sulla soglia del beer-garden appaiono una dona ed un ragazzino. Sono Martina Pietrobon e Mario, rispettivamente compagna e primogenito di Andrea. Ci stringiamo la mano cordialmente. Poi stuzzico un po’ il piccolo Giovanni, saldamente tra le braccia di Angela che lo stringe a sé incurante della calura pastosa, asfissiante, quasi tridimensionale, che ci avvolge. Il piccolo sembra sulle prima aver ereditato un po’ della timidezza di papà Nicola, ma forse no. Sorride. Provo ad immaginare il futuro di questa creatura e di un intero territorio. Poi mi dico che c’è poco da pensare e molto da lavorare. In fondo, c’è stato un tempo in cui emigrare dalla Calabria era l’unica scelta possibile per alimentare la speranza di un futuro migliore, per sé e per la propria famiglia. Ancora oggi si emigra dalla Calabria, beninteso, ma mentre in passato ad abbandonare questa terra erano nugoli di braccianti analfabeti, oggi si emigra solitamente provvisti di un robusto bagaglio culturale, fatto di lauree, dottorati, master conquistati a caro prezzo.Non c’è niente di sbagliato nel volersi cimentare con altre realtà più ordinate e meglio organizzate, come il Nord Italia o altri Paesi, ma non c’è neanche nulla di sbagliato nell’aspirare a ritornare nella propria terra un giorno, forti magari proprio di quelle provvidenziali esperienze maturate altrove. Chi ritorna, sia chiaro, non troverà ad accoglierlo nessuna fanfara in aeroporto, e ben presto dovrà fare i conti con servizi pubblici mediocri, una burocrazia farraginosa ed una politica perlopiù completamente inetta. Tuttavia, ad accogliere chi intende restare oltre il tempo della solita vacanza estiva,ci sarà la bellezza incomparabile del Faraglione di Tropea, l’asperità struggente di Capo Vaticano, Reggio Calabria ed il suo più bel chilometro d’Italia, Scilla e le sue leggende, i Bronzi di Riace, gli scavi archeologici di Locri, la Villa di Casignana e la Roccelletta di Borgia, quella Sibari che era sinonimo di eleganza edopulenza nell’antichità, Capo Colonna, ma anche ambienti montani incontaminati, con una flora ed una fauna tra le più ricche e variegate d’Italia, un’agricoltura di qualità e tradizioni millenarie, una viticoltura d’eccellenza, alcuni tra i migliori olii EVO del Mediterraneo ed una cucina che negli ultimi anni ha saputo conquistare estimatori perfino oltreoceano. Chi torna – gli altri almeno si astengano dalle solite sterili critiche, funzionali essenzialmente a giustificare il fatto di essere andati via senza voltarsi indietro – avrà l’impagabile privilegio di contribuire a valorizzare queste straordinarie ricchezze e creare qualcosa per sé e per la propria terra. D’altronde,è difficile credere che senza l’apporto delle menti migliori,un territorio possa davvero immaginare di risollevarsi. Servono idee, passione e determinazione incrollabili. Nicola e Andrea sono la prova vivente che anche qui, in questa Calabria profonda, in questa calura drammatica che ci avviluppa amnioticamente, sia possibile fare squadra e realizzare i propri sogni. Nicola e Andrea oggi sono i miei eroi. E lo saranno per molto tempo ancora da qui in avanti.A proposito di tempo, è tempo ormai che dia fondo alla mia pinta di Wabanaki, prima che questa calura opprimente la scaldi troppo e mi impedisca di sorridere.

 

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Giuseppe Caruso
Info autore

Giuseppe Caruso

Docente di Botanica Forestale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nonché insegnante di Scienze Naturali e Biotecnologie Agrarie presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, botanico (consulente scientifico per enti pubblici, privati, professionisti), disegnatore botanico, beerlover, beer sommelier.
Diploma di Perito Agrario presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, Laurea in Scienze Agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Dottorato di Ricerca in Botanica Ambientale ed Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona.
Membro di diverse associazioni scientifiche: Organization for Phyto-Taxonomic Investigation of the Mediterranean Area, Società Botanica Italiana, Società Italiana di Scienze della Vegetazione, Società Italiana di Biogeografia, Society for Economic Botany, International Biogeography Society.
Pubblicate numerose ricerche scientifiche sulla flora dell’Italia Meridionale nei campi della tassonomia vegetale, floristica, vegetazione, conservazione, museologia, didattica e divulgazione scientifica. Principali interessi scientifici: ricerca botanica (tassonomia vegetale, floristica, vegetazione), analisi fitogeografico-vegetazionale (metodo fitosociologico e geosinfitosociologico dinamico-catenale), ecologia vegetale, conservazione e valorizzazione delle risorse naturali, recupero aree degradate e gestione verde urbano, sentieristica naturalistica, analisi/planning dei processi formativi, outdoor environmental education.
Libri pubblicati: Guida al riconoscimento di alberi, arbusti, cespugli e liane del PN della Sila (PN Sila, 2011), Andar per piante tra terra e mare – Escursioni botaniche sulle coste della Calabria (Koeltz Scientific Books, 2015). Nell’ultimo libro, La Botanica della Birra (Slow Food Editore, 2019), frutto di un lunghissimo lavoro di documentazione, unisce due grandi passioni, la botanica e la birra, raccontando con rigore scientifico le proprietà brassicole di oltre 500 specie vegetali impiegate nel brassaggio. Lo stesso libro è stato tradotto in inglese e pubblicato nel 2022 come The Botany of Beer dalla Columbia University Press (New York, US).