Numero 48/2020
26 Novembre 2020
Innovazione italiana e giovane per la birra!
Andrea Marianelli è un tesista all’Università di Pisa che al momento sta portando avendo un progetto di tesi su Libera, una birra gluten free dove si ha un abbattimento del glutine utilizzando un enzima specifico brevettato da Whitelabs ma che ancora nessuno in Italia sta utilizzando.
Il progetto è Coadiuvato da l’associazione ARCI la Staffetta, che da anni è un meraviglioso punto di riferimento sociale e brassicolo nel panorama pisano e toscano, dapprima con la corsistica per principianti e avanzati, poi con diversi progetti di tesi e Brewfirm.
Il progetto di Andrea gode della collaborazione di ARCI la Staffetta. La Staffetta è da anni impegnata nella formazione di homebrewers (da principianti ad avanzati), conta di numerose collaborazioni con tesisti ed è attualmente Brewfirm; facendo della propria realtà un meraviglioso punto di riferimento sociale e brassicolo nel territorio pisano e toscano.
Ho conosciuto Andrea a un evento sul luppolo in Versilia la abbiamo avuto modo di parlare del suo Progetto di Tesi, che mi ha fi da subito affascinato, e dopo qualche peripezia dovuta alle problematiche dei giorni nostri, una sera di metà ottobre, dopo aver scongiurato il rischio di trovarsi in un bar bevendo spuma bionda, siamo riusciti a sederci davanti a un paio di medie per conoscere più a fondo la questione.
La seguente intervista nasce dal mio incontro con Andrea, in Versilia, durante un evento dedicato al luppolo. In quell’occasione ho avuto modo di interessarmi all’affascinante progetto di tesi di Andrea e, nonostante le peripezie di fronte a un’emergenza pandemica, ho avuto modo di approfondire la questione. Infatti dopo aver scongiurato il rischio di trovarsi in un bar, bevendo spuma bionda, nel rispetto del Galateo io e Andrea siamo riusciti a sederci davanti a un paio di medie.
Come è nata questa idea?
L’idea è nata in quanto ho provato a soffermarmi sulle reali necessità del mercato della birra artigianale, che è in continua evoluzione.
Principalmente volevo perseguire due possibili strade:
– produrre birra con uno o più ingredienti, con alto potere nutraceutico, quindi cercare di dare alla birra un valore aggiunto utilizzando materie prime con componenti di alto valore nutrizionale;
– cercare di creare un prodotto altamente di nicchia, il quale andasse incontro alle reali esigenze delle persone; in questo caso esigenze dal punto di vista dietetico.
Percorrendo la seconda strada mi sono affacciato sul Gluten Free. L’argomento è molto spinoso e dibattuto, poiché un produttore di Gluten free è visto in malo modo da chi non lo produce. Inoltre è pensiero comune che il Gluten free sia una sofistificazione inutile della birra, compromettendone la qualità.
Per smentire questo luogo comune, mi sono prefissato due obbiettivi:
Per prima cosa la sicurezza alimentare. La celiachia è una malattia e non un’intolleranza. Il fenomeno è certificato da diversi studi, i quali dimostrano che oltre al dare disagio e patologie infiammatorie a livello intestinale, la celiachia può portare anche a formazioni neoplastiche, quindi chi ne è affetto può sviluppare neoplasia in seguito a diete imperterrite nel consumo di alimenti glutinosi.
al secondo punto la parte il commerciale. Ribadisco il concetto: la birra artigianale è di per se un prodotto di nicchia, con gluten free quasi di super-nicchia. Io non volevo che questo, nonostante fosse frutto di materie prime di qualità e biotecnologie aggiuntive, si traducesse in un aumento di prezzo di 2 euro a bottiglia rispetto a una concorrente equivalente contenente glutine.
Iniziamo da una base: quali sono i principali difetti che hai trovato in una birra gluten free o low gluten presenti sul mercato?
Ho avuto modo di provare alcune birre senza glutine. Da questa esperienza ho riscontrato i seguenti difetti: ritenzione della schiuma assente, in quanto dalla spillatura o dalla sbicchieratasi ha una formazione di cappello di schiuma della durata di una decina di secondi; non c’è foaming intorno al bicchiere; a livello di corpo si sente una pronunciata nota waterly, poiché la rottura delle proteine provoca un aumento dei liquidi all’interno della birra. In un primo momento l’impressione è l’idea di una birra quasi allungata, cosa non vera, ma l’effetto è ottenuto dalla una rottura proteica. Per giunta qualunque assaggio di birra, dalla chiara alla IPA passando per le blanche, sembra che nel processo di queste birre non venga fatto un abbattimento pulito.
La Libera mantiene la schiuma, infatti si forma l’orletto, e al momento bevuta mantiene corpo donandole stile. Ovviamente non è una triple, ma non sarebbe complesso fare birre più strutturate. Alla fine, l’effetto più bello, il cliente, se non messo al corrente, non si accorgerà che la birra che sta bevendo è gluten-free.
Quali sono li accorgimenti tecnici utilizzati per completare questo obbiettivo?
Per raggiungere gli obbiettivi prefissati, nessun passaggio dal punto di vista produttivo è stato tralasciato. Procediamo per ordine:
– il grist: in realtà sarei potuto partire da un grist tradizionale, ma mi sono chiesto quale fosse la maniera più semplice per raggiungere l’obbiettivo legislativo. Per essere tutelato e poter scrivere sulle etichette gluten Free la normativa impone un valore minore di 20 ppm di glutine; la Staffetta scrisse, anni fa, un’altra tesi con il Dott. Angelo Benvenuto ( l’Accademica http://www.arcilastaffetta.it/accademica-la-staffetta-vapore-birrificio-sociale/), in cui fu raggiunto solo col grits e altri espedienti produttivi un abbattimento del 60% del glutine, raggiungendo i 40 PPM. Quindi abbiamo sfruttato il know how ottenuto in passato ed il grist è compost per il 51% da malto d’orzo, mentre il restante è composto da materie prime naturalmente prive di glutine, mais fioccato e riso torrefatto. Queste materie danno valore aggiunto anche da un punto di vista sensoriale. Il mais regala un panificato molto diverso rispetto all’orzo, perché è molto più delicato e dolce, il riso invece dona un sentore di rosa canina che rende la bevuta molto piacevole.
Per quanto riguarda l’ammostamento, ho completamente saltato la parte di protein rest, eseguendo un mash in a 67°, onde evitare un indesiderato aumento di proteine nel mosto. La bollitura è stata prolungata a 90 minuti, per favorire una precipitazione proteica.
La vera magia di tutto il progetto, invece, arriva prima dell’inoculo. Proprio in questa fase che abbiamo aggiunto l’enzima.
Di che enzima stiamo parlando?
L’enzima è il WLE4000 Clarity Ferm della WhiteLabs (https://www.whitelabs.com/other-products/wle4000-clarity-ferm ) che a differenza degli altri enzimi presenti sul mercato, attacca soltanto la proteina del glutine e non incide in nessun modo sulle altre caratteristiche della birra finite, come corpo e aroma.
L’enzima a quanti gradi lavora? Quanto tempo impiega per l’abbattimento del glutine?
La temperatura di utilizzo raccomandata è quella di inoculo del lievito, circa sui 20°, potrebbe lavorare anche a temperature più alte, ma verso i 60° rischiamo di denaturare l’enzima. Inoltre il momento migliore per aggiungerlo è proprio subito prima dell’inoculo, in quanto il mosto è più pulito dopo il whirlpool e la temperatura è corretta. Aggiungere l’enzima dopo l’inoculo è rischioso, perché la fase di adattamento dei lieviti è delicata e potrebbero insorgere problemi. Per quanto riguarda i tempi, in realtà, non li abbiamo mai misurati. White Labs garantisce che il tempo necessario per un abbattimento efficace ( circa il 98%) è inferiore a quella della fermentazione, appena dopo una settimana si può apprezzare analiticamente l’abbattimento del glutine.
Come viene effettuata l’analisi?
Per la legislazione Europa e italiana, la legislazione fa parte dell’EPSA, viene utilizzato un kit ELISA competitive ( Elisa è l’acronimo di enzyme-linked immunosorbent assay, https://en.wikipedia.org/wiki/ELISA#Competitive_ELISA nda). Il campione viene analizzato da un laboratorio autorizzato AIC, Associazione Italiana Celiachia, che ogni anno produce una lista di laboratori accreditati per questo genere di analisi. Nello specifico noi ci siamo rivolti al laboratorio Agrifood di Pontedera.
Quali sono stati i risultati delle analisi?
Con gli abbattimenti, dovuti ad accorgimenti tecnologici e con il contributo enzimatico sui nostri campioni, non ci sono stati rilevamenti di glutine. Ciò si traduce in una presenza sotto ai 6 PPM.
Hai trovato aspetti negativi nell’utilizzo dell’enzima?
No, non ho trovato effetti collaterali, anzi, ci sono stati aspetti positivi, in quanto il fatto che si abbatta il glutine fa si che venga scisso intimamente con conseguente rilascio di alcuni amminoacidi che possono anche andare ad influire in modo positivo il metabolismo dei lieviti.
Poniamo per un momento l’attenzione sulla questione dei lieviti. Durante le cotte pilota, hai avuto modo di riscontrate caratteristiche organolettiche o off flavours dovuti all’utilizzo di diverse tipologie di lievito? In particolare faccio riferimento a una diversa “collaborazione” fra lieviti neutri e lieviti che per loro natura portano alla produzione di esteri.
Proprio perchè non sapevamo come avrebbe reagito il lievito abbiamo preferito lavorare con un lievito neutro, in quanto era impossibile prevedere quale sarebbe stata la reazione intima fra gli amminoacidi scissi dalla reazione enzimatica. Sicuramente farò delle prove in futuro per verificare questo aspetto.
Siete stati fra i primi in Italia ad importare questo enzima. Avete riscontrato problematiche particolari?
I problemi sono arrivati quando abbiamo effettuato il passaggio da cotta pilota a cotta vera e propria. Per quanto riguarda l’importazione di campioni per homebrewing la dogana non effettua nessun tipo di blocco a campione per l’esaminazione, invece dal momento in cui abbiamo importato un litro di prodotto, questo è stato bloccato a Milano. Il motivo per cui è stato bloccato si lega alla sua natura, perché esso è un prodotto biotecnologico, e può essere anche causa di qualche tipo di contaminazione o biosicurezza. Siamo stati avvisati via mail e telefono, poi abbiamo dichiarato che il prodotto sarebbe stato utilizzato in un ambiente professionale per la manipolazione di alimenti. Questo ci ha permesso di sbloccare la documentazione. Dopo lo sblocco abbiamo dovuto però pagare 120 €per lo sblocco delle pratiche, più altre operazioni per poterlo ritirare.
Whitelab è un rivenditore internazionale di lieviti liquidi ed enzimi, quindi queste problematiche sussistono anche se qualche birrificio lavora con lieviti liquidi con produzioni che richiedono più di un litro di lievito?
Whitelab ha 3 sedi principali, San Diego, Copenaghen e Singapore. fortunatamente i miei contatti Whitelab sono stati molto gentili e mi hanno indicato di farmi spedire eventuale materiale a Copenaghen, quindi il problema di cui abbiamo parlato prima è problema è “aggirabile”. Ovvio che il magazzino di San Diego è molto maggiore degli altri due, e che i controlli per il materiale proveniente da Singapore sono maggiori, ma come detto il problema è risolvibile lasciando a loro il “lavoro sporco”.
Penso sia per questo che molti artigiani lavorino con enzimi aspecifici, reperibili però sul mercato italiano dove appunto si evitano queste “grane”.
Sul mercato sono presenti birre senza glutine, con stili piuttosto leggeri, come Lager, pale Ale, qualcuno sta osando con le IPA, comunque sempre birra che posso avere poca presenza di malti speciali. Pensi che con questo enzima ci sia in futuro la possibilità di avere un panorama di stili più ampio, magare con qualche birra un po’ “pesante”, dove il grits non ci consente accorgimenti del genere che abbiamo visto sopra, penso ad una Stout, per esempio.
Quando ci siamo confrontati sullo stile che volevamo produrre abbiamo pensato a una birra chiara, la Libera è una American Light Beer, fosse quello più semplice ma anche quello più commerciale, al momento il consumatore predilige molto le chiare, blanche, IPA ma non nascondo che sto e stavo già pensando ad altri stili, come Amber ale e stout. Ovvio, più la birra volta a colore scuro più è complesso convertire data la presenza di malti altamente ricchi di amminoacidi e altamente proteici. L’enzima comune è garantito per un abbattimento del 98%.
Probabilmente non si arriverà ai 2 PPM della libera, ma 15-16 PPM potrebbero essere raggiunti senza problemi, e se questo non fosse possibile di sicuro il problema si potrebbe risolvere con una lagerizzazione prolungata, di circa 20-25gg. Per riassumere, si: con accorgimenti tecnologici e enzimatici non dovrebbero esserci problemi a produrre anche altri stili.
La libera fa anche parte di un progetto sociale, vuoi parlarcene?
La libera è un progetto molto ibrido, in quanto è un connubio perfetto fra innovazione biotecnologica e sociale.
La Staffetta ha vinto un bando regionale, il progetto Fairmenti, dove l’obbiettivo era l’inclusione sociale di soggetti detenuti nella casa di reclusione di Volterra. Ai 5 detenuti partecipanti sono state fatte delle lezioni molto tecniche in un arco di tempo di circa 6 mesi, una volta la settimana. I ragazzi sono stati formati sia da un punto di vista tecnologico, su aspetti come materie prime, sia da un punto di vista sensoriale, per dare loro la possibilità di riconoscere prodotti di qualità. Di base è stato un progetto che ha coinvolto molto i detenuti, si parla alla fine di un gruppo di ragazzi, in tutti abbiamo visto una grinta e una volontà di rimettersi in gioco e sfruttare al massimo la loro “seconda possibilità”.
Inoltre abbiamo dato a questi ragazzi la possibilità di creare un laboratorio in una stanza non utilizzata dalla casa di reclusione, dove abbiamo portato pentolame, tini e tutto quanto necessario per la produzione casalinga di mosto e abbiamo chiesto alla direttrice, che è stata molto disponibile, la possibilità di regalare il prodotto che avevano creato, in quanto ritenevamo corretto che restasse anche a loro, come un simbolo di speranza, che stimolasse i ragazzi nel loro “continuare sulla retta via.
I ragazzi hanno partecipato solo alle cotte pilota o sono stati portati anche in impianto? È possibile un futuro nel mondo della birra per Loro?
Ci siamo informati per fare ammettere questi ragazzi in un progetto di stage formativo. Il formatore del carcere ha dato il via libera, ma per essere ammessi a questo genere di esperienze i detenuti devono essere a fine pena, altrimenti il magistrato non permette questo genere di esperienze. Se non fosse stato per la pandemia, una persona starebbe già lavorando in birrificio. Si tratta comunque di ragazzi meritevoli, senza episodi di cattiva condotta, per questo motivo sia la direttrice della casa di reclusione sia il formatore ci hanno dato carta bianca, quindi in un prossimo futuro prevediamo di averli tutti in birrificio per permettergli di dare una continuazione all’esperienza iniziata con la Libera.
Come è andata la parte commerciale?
Il risultato commerciale è stato molto incoraggiante e le 600 bottiglie prodotte sono state vendute in circa un mese e mezzo. Quello che mi ha molto colpito, ed è stato quasi ironico, è che io mi aspettavo una domanda soprattutto da parte di celiaci mentre su 100 acquirenti solo 6 si sono rivelati celiaci confermati, il 94% dei consumatori quindi era spinto dalla curiosità di assaggiare un prodotto diverso. Questo ha dimostrato che c’è comunque interesse da parte dei consumatori abitudinari di birra, sorprendendoci e mettendoci anche in difficoltà in quanto a un certo punto non avevamo più bottiglie per i celiaci!
Le analisi e la vendita ci indicano quindi che siamo quindi arrivati al raggiungimento dei nostri obbiettivi, creando si un prodotto sicuro, ma anche appetibile al mercato.
Il beerfirm e birrificio che l’hanno prodotta prevedono di inserire questa birra in una linea produttiva fissa?
Allora Inizialmente abbiamo preso questa esperienza come un test e ci siamo messi in gioco cercando di creare un prodotto diverso, anche perché non sapevamo effettivamente quale sarebbe stata la riuscita della parte commerciale, del processo no, di quello eravamo sicuri, non sapevamo se a livello di mercato potesse essere appetibile creasse questi numeri, visto che ha creato questi numeri sono andati oltre le nostre aspettative, la risposta è sì, noi pensiamo di inserire questa birra nella linea produttiva come una delle birre di punta del beerfirm.
Molti birrai non hanno fiducia su un’eventuale pulizia delle linee da parte dei publican, e questo li porta ad evitare fusti. Quali potrebbero essere secondo Te suggerimenti da dare in questo senso?
Allora, il discorso è delicato e complesso e le difficoltà dei publican si ritrovano su tutti i formati di mescita.
Per esempio, ci sono problemi anche a chi mesce dalla bottiglia, ai quali consiglio di lasciare sempre l’ultimo dito di fondo. Questo perchè sono ahinoi presenti anche para allergie, ovvero si viene a causare un evento allergico, non causato dal glutine ma causato dal lisato di lievito, con episodi diarroci che nel celiaco scatena un sentimento di paura sul fatto che la birra non sia effettivamente senza glutine. Per il fusto se ci fosse il pericolo di frazioni di glutine nella spina il problema non è insormontabile e si tratta comunque di fare un protocollo acido base come per tutti gli altri strumenti. Ovviamente per essere sicuri al publican consiglierei uno spillatore da banco due vie dedicato, isolato dalle altre vie in modo tale che, non essendoci il contatto, in maniera da essere sicuri al 100% da questo punto di vista, e un’ottima alternativa è comunque l’utilizzo delle lattine che rimangono sicure, si raffreddano in poco tempo e non richiedono l’investimento dello spillatore.
Ovviamente io potendo scegliere preferirei servire la birra senza glutine alla spina, in maniera da evitare differenze tra il consumatore celiaco e quello non celiaco. La spina da un punto di vista visivo e simbolico è molto meglio e ritengo corretto che tutti i consumatori vengano trattati allo stesso modo
Che dire quindi, in bolla al lupo per la tesi e il tuo futuro nel mondo brassicolo nella speranza che da progetti pilota come questo si abbiano riscontri significativi sul mondo del no gluten e della birra in generale…alla nostra!