Numero 11/2021

17 Marzo 2021

Scratch Brewing Company: la Nuova Frontiera

Scratch Brewing Company: la Nuova Frontiera

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foto di Aaron Kleidon

 

Il 30 aprile 1803 segna una svolta memorabile nella storia degli Stati Uniti d’America. È in tale data infatti, che a Parigi viene firmato il famoso Louisiana Purchase (l’Acquisto della Louisiana), trattato grazie al quale gli Stati Uniti acquistano dalla Francia di Napoleone Bonaparte 2,14 milioni di chilometri quadrati di nuovi territori, noti allora come Louisiana francese. L’operazione comporta un esborso di 11,25 milioni di dollari, ai quali vanno sommati il costo di estinzione di debiti pregressi ed interessi (6% annuo), per un totale di oltre 23,2 milioni di dollari. La terra acquistata dalla Francia napoleonica comprende gli attuali stati dell’Arkansas, Missouri, Iowa, Oklahoma, Kansas, Nebraska, nonché parti del Minnesota, North Dakota, South Dakota, New Mexico, Texas, Montana, Wyoming, Colorado e Louisiana, e perfino scampoli dell’odierno Canada. Insomma, qualcosa come il 23% dell’attuale superficie degli Stati Uniti. Un territorio vastissimo e pressoché sconosciuto, ma tutt’altro che disabitato. È infatti dai Nativi Americani, i proprietari ancestrali, che la terra dovette essere “acquistata” pezzo dopo pezzo. Di certo un territorio deve essere ben conosciuto per poter essere amministrato, tanto più se così vasto ed incognito. Sebbene l’annuncio del clamoroso ampliamento territoriale fu dato solo il 4 luglio 1803, già a poche settimane dalla stipula del trattato furono stanziati 2.500 dollari (il costo finale sarebbe stato di 38.000 dollari) per mettere insieme un gruppo di esploratori che raggiungesse la costa ovest del continente, redigesse un’accurata cartografia e studiasse le terre attraversate: botanica, geologia, zoologia, ma anche le tribù indiane e la potenziale interferenza di cacciatori di pelli e commercianti di qualsivoglia nazionalità già stabilitisi nell’area. Il terzo presidente del Stati Uniti, Thomas Jefferson (1743-1826), mette a capo della spedizione Meriwether Lewis (1774-1809), suo segretario personale e già capitano dell’esercito. Lewis sceglie il compagno d’armi William Clark (1770-1838), per condividere la responsabilità del comando della spedizione. Nonostante la buona condizione sociale della famiglia d’origine, Clark non aveva ricevuto un’educazione formale.

 

 

Ne rimane prova nei suoi sgrammaticati diari redatti durante la spedizione. Lasciato l’esercito nel 1796 torna a Louisville nella piantagione di famiglia, fino a quando non viene raggiunto dalla proposta di Lewis.
In primavera, Lewis raggiunge Philadelphia, per acquisire nozioni di botanica, zoologia, navigazione astronomica, medicina dai migliori scienziati della nazione, e comincia a procurarsi i rifornimenti necessari alla spedizione. In estate, a Pittsburg, supervisiona la costruzione della keelboat, un’imbarcazione fluviale a fondo piatto comune all’epoca, assai versatile grazie alla propulsione a vela, a remi, spinta da pali e perfino trainata da riva con l’ausilio di corde. La barca discende il fiume Ohio e poi risale il Mississippi fino a S. Louis. Lungo il tragitto vengono recuperati Clark ed il suo schiavo York, oltre alcuni membri dei futuri Corps of Discovery. Il contingente si acquartiera a Camp Wood (anche noto come Camp Dubois) sulla riva orientale del Mississippi, a monte di St. Louis. Autunno e inverno vedono altri membri della spedizione ingaggiati e formati, ed i preparativi continuare fino al 10 marzo, giorno in cui a S. Louis viene formalizzata, alla presenza di Lewis e Clark, la cessione della Louisiana agli Stati Uniti.
Il 14 marzo 1804 la spedizione lascia Camp Dubois “under a jentle brease,” scrive l’illetterato Clark. Lewis è a St. Louis, e si sarebbe ricongiunto al gruppo pochi giorni più tardi. Il ricordo di quell’inverno a Camp Dubois, sebbene non esattamente nel sito originario, cancellato dai ripetuti spostamenti del corso del fiume, è oggi tenuto vivo dal Lewis & Clark State Historic Site, alla confluenza tra Mississippi e Missouri. L’infrastruttura è amministrata dall’Illinois Department of Natural Resources e supportata dalla Lewis & Clark Society of America. La ricostruzione del campo, la tipica baracca di tronchi dei coloni, e perfino la replica a scala 1:1 della keelboat, ancorché posticci, restituiscono spazi e spirito della spedizione.
La risalita del Missouri, con un’imbarcazione appesantita da 10 tonnellate di rifornimenti, procede alla velocità giornaliera di sole 14 miglia (circa 22,5 km), almeno nelle giornate buone. I diari redatti da alcuni degli esploratori riempiono le giornate di piccoli e grandi eventi. Qui non potremo che limitarci ad evocarne solo alcuni particolarmente significativi. Il 3 agosto, ad esempio, giorno nel corso del quale si svolge il primo incontro ufficiale tra rappresentanti degli Stati Uniti ed i Nativi Americani dell’ovest. A nord dell’odierna Omaha, i Corps incontrano una piccola delegazione di Oto e Missouri, due tribù dell’area. O il 20 agosto quando, vicino all’attuale Sioux City, Iowa, il sergente Charles Floyd muore, probabilmente di appendicite, diventando la prima ed unica vittima del corpo di spedizione. Viene sepolto sulla collina che oggi porta il suo nome, Floyd’s Bluff. E poi l’incontro con le Grandi Pianure, di lì a poco, che sbalordisce gli esploratori – più avvezzi a boschi e montagne che non a distese d’erba a perdita d’occhio – con la sua inconcepibile vastità ed una biodiversità del tutto sconosciuta. Basti dire che complessivamente, i journals dei due capitani menzionano 178 specie vegetali e 122 animali prima ignoti alla scienza.
Ma anche la fine di ottobre, grosso modo dove oggi si trova Bismarck, North Dakota, la spedizione raggiunge i villaggi dei Mandan e degli Hidatsa. Gli esploratori scoprono una vitale comunità di circa 4.500 persone, popolazione superiore, al tempo, a quella della stessa St. Louis e perfino di Washington, D.C.. È proprio in prossimità di tali villaggi che il gruppo costruisce Fort Mandan dove trascorre l’inverno. Durante questo periodo stanziale, i capitani ingaggiano un commerciante di pellicce franco-canadese che vive con gli Hidatsa, Toussaint Charbonneau, come interprete. La sua giovane moglie Shoshone, Sacagawea (Sacajawea, secondo altre fonti), catturata dagli Hidatsa alcuni anni prima e poi venduta a Charbonneau con un’altra ragazza Shoshone, si rivelerà una figura chiave per la buona riuscita della spedizione. Ma è il 7 aprile 1805 quando Lewis e Clark rimandano indietro la keelboat con una dozzina di uomini, allo scopo di consegnare mappe, rapporti, manufatti nativi, campioni scientifici ed alcuni animali vivi. Nello stesso giorno il resto del gruppo, 33 persone in totale (inclusi Charbonneau, Sacagawea ed il loro bambino nato da pochi mesi, punta verso ovest a bordo di due piroghe ed alcune canoe.
Alla fine di luglio raggiungono l’attuale Three Forks, Missouri.

 

 

Sacagawea comincia a riconoscere i luoghi, ivi compreso quello in cui gli Hidatsa l’avevano catturata 5 anni prima. La spedizione punta a sud-ovest, lungo la diramazione denominata Jefferson. L’acqua del fiume è bassa e la corrente veloce, pertanto la risalita, trascinando le canoe, presenta notevoli difficoltà. L’8 agosto la ragazza riconosce Beaverhead Rock, a nord dell’attuale Dillon, Montana. Si stanno avvicinando alle sorgenti del fiume ed al territorio della sua gente, gli Shoshone. Nel tentativo di trovare Nativi e cavalli di cui la spedizione ha urgente bisogno, Lewis va avanti con tre uomini, risalendo il versante del Continental Divide, per raggiungere la più lontana sorgente del Missouri. Un volta individuata si disseta, anche simbolicamente, a quella gelida fonte. Continua poi a salire, fino a Lemhi Pass, attuale confine Montana-Idaho. Spera ardentemente che l’ovest, osservato dall’alto, gli riservi la vista di una vasta pianura attraversata da un grande fiume diretto al Pacifico, il celebre Passaggio a Nord-Ovest favoleggiato fin dai tempi di Cristoforo Colombo. Invece, solo montagne. Montagne a perdita d’occhio.
Il 17 agosto, altra data fondamentale, arrivato in un villaggio Shoshone, Lewis inizia a negoziare l’acquisto di alcuni cavalli. Più tardi viene raggiunto da Clark e dal grosso della spedizione, così che Sacagawea può fare da interprete. La buona sorte vuole che il capotribù, Cameahwait, sia suo fratello. È l’ultimo giorno di agosto quando la spedizione riparte via terra, forte di 30 cavalcature e una guida Shoshone. Puntano a nord, oltre un passo di montagna, e poi nella valle di un bellissimo fiume, ora noto come Bitterroot.
L’attraversamento delle montagne si rivela molto duro, per il terreno impervio e per la scarsità di scorte. A fine settembre, i Nez Percé, consigliati dall’anziana Watkuweis, decidono di dimostrarsi amichevoli con i nuovi arrivati nel loro territorio. E diversi membri della spedizione approfittano dell’ospitalità rimpinzandosi di salmone e bulbi di camas [Camassia quamash (Pursh) Greene] fino a stare male.
Il 7 ottobre, vicino alla moderna Orofino, Idaho, la spedizione vara 5 nuove canoe nel Clearwater River. Per la prima volta navigano a favore di corrente. Dopo aver navigato lungo il Clearwater, e poi il fiume Snake, il 16 ottobre raggiungono il Columbia, pullulante di salmoni. Due giorni più tardi Clark scorge Mount Hood in lontananza. Scoperto e battezzato nel 1792 da William Robert Broughton (1762-1821), un ufficiale della marina britannica, intento a risalire il corso del Columbia. Da allora Mount Hood è diventato un punto di riferimento fondamentale, e per i Corps, la prova che si stanno finalmente avvicinando all’oceano.

 

Il 24 novembre 1805 è un’altra data da ricordare per la spedizione, e forse anche per la democrazia americana. Dove trascorrere l’inverno è decisione che viene messa ai voti. Tutti gli adulti hanno diritto di voto, perfino York, lo schiavo di Clark, e Sacagawea, donna e nativa. Prove di alta democrazia di una piccola eterogenea comunità, ai confini dell’ignoto, quasi 60 anni prima che gli schiavi fossero emancipati ed affrancati negli Stati Uniti, ed oltre un secolo prima che alle donne o ai Nativi fosse concesso pieno diritto di cittadinanza. La maggioranza decide di attraversare il fiume e di stabilirsi vicino all’odierna Astoria, Oregon.
È il 23 marzo 1806 quando la spedizione imbocca la via del ritorno. In maggio sono nuovamente nel territorio Nez Percé, ma occorre attendere lo scioglimento delle nevi sui Bitterroots prima di tentare l’attraversamento. I Nativi, ancora una volta, forniscono il cibo necessario alla spedizione. Superato l’ostacolo, il 3 luglio, la spedizione si divide in unità più piccole, allo scopo di esplorare il più possibile del territorio della Louisiana. Il corpo di spedizione si ricompone infine il 12 agosto, a valle della confluenza dello Yellowstone nel Missouri. Ed il 23 settembre, infine, raggiungono St. Louis. È il loro ultimo giorno come Corps of Discovery. Sono trascorsi quasi due anni e mezzo dalla loro partenza e l’impresa appena portata a termine passa alla storia come la Lewis & Clark Expedition. I due capitani sono acclamati come eroi nazionali. Gli stessi Journals di Lewis e Clark, sono oggi considerati una sorta di poema nazionale negli Stati Uniti. Sono scritti epici, l’Iliade e l’Odissea del paese. Due giovani esploratori, con un manipolo di uomini, cui viene affidata una missione nell’ignoto. Oltre 8.000 miglia (quasi 13.000 Km!) percorse per esplorarlo e documentarne le risorse. Se questa non è una grande storia, concordano gran parte degli storici, allora gli Stati Uniti non hanno alcuna grande storia da raccontare.

È inevitabile che ad una storia così ragguardevole se ne sovrappongano ed incrocino altre, molte altre. Ma noi non siamo qui per raccontarle tutte. Non è il nostro mestiere. E allora perché dilungarsi in una vicenda che affonda le sue radici nella storia per scrivere di un birrificio? Beh, suppongo sia perché non tutti i birrifici sono uguali. Alcuni scelgono di scrivere la propria storia attingendo ad una storia più grande di esplorazione, di apprendimento, di conoscenza, di curiosità e di inconsueta capacità di valorizzare le opportunità. Ed è esattamente questa la suggestione che la Scratch Brewery richiama alla mente. Affatto diversa dall’inarrestabile spinta emotiva e vitale che avrebbe condotto quel drappello di valorosi fino alla foce del Columbia, la vicenda della Scratch Brewery si dipana con tutte le caratteristiche dell’avventura in un territorio sconosciuto. Ci sono persone determinate a vivere una vita coerente con i propri principi, e a queste persone non possiamo che offrire il nostro rispetto e la nostra ammirazione. È una vera e propria linea di confine, ancora oggi, quella che segna il limite tra l’ignoto e la civiltà wasp dominante all’est degli Stati Uniti. Ed è esattamente lungo questa sottile frontiera che si situa Scratch. Noto e ignoto, razionalità occidentale e saggezza dei Nativi, tradizione e innovazione. I Nativi Americani, d’altro canto, erano depositari di una conoscenza così profonda delle risorse del territorio e di una saggezza ancestrale rivelatasi fondamentale, tanto nella storica spedizione quanto nell’odierna avventura brassicola di Scratch. Gli Indiani, come erano chiamati allora, non avrebbero dovuto giocare alcun ruolo, se non quello delle comparse, nel grande show allestito da Jefferson, ed invece furono chiamati in diverse occasioni ad interventi cruciali per la buona riuscita dell’impresa. Guide, interpreti, generosi ospiti, istruttori di tecniche tradizionali e quant’altro. Sappiamo tutti com’è andata a finire poi la storia. I coloni ed il Governo statunitense, impantanati in quelle contraddizioni che in parte sopravvivono fino ai nostri giorni, non sempre si sono dimostrati all’altezza del loro ruolo di guida morale del genere umano, tutt’altro. Ancora oggi infatti, i demoni della divisione persistono nell’ignorare come la diversità costituisca una ricchezza. Ed anche con i Nativi, le cose non sono andate granché bene. Da lì a poco sarebbe infatti iniziato quel sistematico processo di demolizione della struttura socio-economica dei Nativi, il cui scopo ultimo era, evidentemente, ottenere la terra. La storia è quella che è, e non si può certo tornare indietro. Concentrandosi invece sugli aspetti realisticamente recuperabili di quel sapere antico, si può trarre qualche indicazione sul disegno di migliori prospettive future. Ed è così che il passato sopravvive anche nelle usanze dei Nativi, per certi versi forse dimenticate, ma in buona parte anche recuperate ai posteri da illuminati studiosi. Ed allora il significato del termine Etnobotanica diventa alto, strumento prediletto della scienza, perché la conoscenza è stata acquisita grazie all’applicazione neutra di un metodo scientifico. È esattamente questo lo spirito dei Nativi che ancora aleggia nelle loro terre ancestrali, la loro conoscenza tradizionale, il loro sapere. Quello che gli etnobotanici indicano con gli acronomi TBK, traditional botanical knowledge, o TEK, ossia traditional environmental knowledge.

Camp Dubois, lo abbiamo già detto, era giusto da queste parti. Che il corso del fiume si sia spostato quanto basta per confondere la nostra storia, poco importa. Quel che conta è che i due capitani abbiano calcato questa terra, percorrendo in lungo e largo tutta l’area circostante la città di S. Louis per far provviste e ingaggiare uomini pronti a tutto. È accertato che Clark visitò Fort de Chartrese, un insediamento fortificato francese, il 4 dicembre 1803. E poi i Cahokia Mounds, una vera e propria città costruita dai Nativi, oggi uno dei maggiori siti archeologici del Nord America. E, ovviamente, la stessa St. Louis, che ancora oggi comunica la propria vocazione di città di confine con i 192 metri della celebre silhouette del Gateway Arch National Park. Tutto sulle sponde del Grande Fiume.

 

Sulle stesse sponde, Marika Josephson ha messo radici. A Murphysboro, Southern Illinois, col marito, Nicholas Guardiano, e con la piccola Lilje May, la loro bambina. Originaria di San Diego, California, è stata a lungo una inguaribile giramondo che ha vissuto nella sua città natale, ovviamente, ma anche a New York City e perfino in Italia. Ma Marika è molto più che una semplice giramondo. Oltre ad una lunga esperienza da homebrewer (o sarebbe meglio dire homebrewster?) ha conseguito il titolo di BJCP Certified Beer Judge, attività che ha esercitato per alcuni anni prima di contribuire a dare vita al Progetto Scratch. E di sicuro non le mancano i titoli “culturali”: ha un BA (bachelor of art, una sorta di laurea di primo livello) in Inglese, conseguito alla University of California, Berkeley; un MA (master of art, laurea di secondo livello) in Studi Interdisciplinari alla New York University, un secondo MA ed un PhD (Philosophiae Doctor, dottorato di ricerca) in Filosofia alla New School for Social Research, sempre nella Grande Mela. Marika appare imperturbabile mentre sciorina, un titolo dietro l’altro, la considerevole qualità della sua formazione. Al contrario, il suo sguardo diventa languido quando racconta l’iniziazione all’homebrewing grazie a suo padre, grande amante della birra. Quei grossi carboy che affollavano il garage, le frequenti uscite a visitare birrifici, una lunga familiarità con la birra fin da giovane. In realtà, non ha cominciato a brassare lei stessa fino al trasferimento nel Southern Illinois, essenzialmente per ragioni di spazio, almeno finché ha vissuto in piccoli appartamenti cittadini, e, una volta giunta a destinazione, il brassaggio domestico è diventato una sorta di necessità, giacché da quelle parti sembrava impossibile trovare una buona birra se non te la facevi da solo. E lo stesso vale per le piante. La sua passione è sbocciata proprio dall’incontro con il territorio e la sua biodiversità. Imbattersi in Aaron le ha dischiuso mondi di biodiversità, rispetto al quale il processo di apprendimento può durare un’intera vita. E con incredibile modestia si schernisce dei suoi “soli” 10 anni di esperienza. Intanto, lei stava diventando sempre più motivata, eticamente, a recuperare localmente gli ingredienti per cibo e birra, e questo approccio è diventato naturalmente parte dei suoi esperimenti di homebrewing. Ha iniziato raccogliendo erbe per le sue birre ed usando ingredienti acquistati nei farmer’s market. La sua era un’esperienza che maturava indipendentemente da quella di Aaron, il quale invece era già avanti nell’uso di ingredienti selvatici raccolti nei boschi per fare la birra in casa. Quando i due si incontrarono è stato assolutamente naturale mettere insieme le loro idee nei loro esperimenti a piccola scala. Era circa il 2010. Dopo essersi incontrati ed aver iniziato a discutere delle loro idee sul brassaggio, cominciarono a brassare insieme con frequenza settimanale, o giù di lì, provando tutti i differenti ingredienti che non avevano mai visto o provato prima nella birra. Marika ritorna indietro coi pensieri a quei giorni sperimentali. La birra con i funghi maiitake preparata sul retro del suo appartamento e l’intenso profumo di cocco. La birra fatta con farina di ghiande vicino allo stagno in quella che sarebbe diventata la proprietà del birrificio, i primi esperimenti con la birra realizzata in un orcio di terracotta.
Il trio originario che poi ha dato vita a Scratch, ha anche contribuito a sviluppare la comunità homebrewer nel sud dell’Illinois. Marika ama raccontare questa parte della storia. Ryan faceva parte di un club di homebrewer a Edwardsville, quando andava a scuola, quindi sapeva come organizzare un club. È diventato il presidente del club Southern Illinois Brewers e lei la vicepresidente. Tenevano regolarmente riunioni, brassavano con altri homebrewer della zona e sono rimasti in stretto contatto con il club anche dopo aver avviato Scratch, e dopo aver ceduto ad altri membri la guida del gruppo. Alcuni associati hanno finanche contribuito a testare le ricette del libro che poi hanno pubblicato, e continuano ad incontrarsi nel loro birrificio. Alcune delle birre più innovative ed interessanti vengono prodotte proprio da questi birrai casalinghi, quindi era naturale tenersi in contatto con il club, anche dopo aver avviato il birrificio. Ed era anche un ottimo motivo per scrivere il libro. Ovviamente, il libro a cui si fa riferimento è The Homebrewer’s Almanac. Ma di questo parleremo più avanti.
Prima di trasferirsi nell’Illinois meridionale, Marika lavorava nell’industria editoriale a New York. La grande passione per la filosofia aveva ormai fatto breccia. La filosofia consente di pensare in modo critico rispetto a molte questioni riguardanti la natura umana, e senz’altro aiuta a comunicare amabilmente alle persone le cose che loro fanno a Scratch. E poi è stata in Italia per un intero anno, a Bologna, a cavallo tra il 2001 ed il 2002. Lei studiava al suo bachelor’s degree e ha deciso di usufruire dell’Education Abroad Program della University of California. Oggi, lei stessa, stenta a credere che siano già passati vent’anni. Quell’anno trascorre l’estate a Siena frequentando un corso intensivo di italiano, per poi trasferirsi a Bologna, dove convive con tre ragazze abruzzesi. All’Università di Bologna frequenta corsi di letteratura italiana, fotografia e letteratura americana. Tutto, ovviamente, in italiano. E poi passa molto tempo con le sue compagne d’appartamento e le loro famiglie in Abruzzo. Ancora oggi è in stretto contatto con una di queste amiche italiane tanto da essere tornata in Italia per il suo matrimonio e per farle visita quando è nato suo figlio, ma anche per fare le vacanze assieme. Questa lunga frequentazione le ha consentito di continuare a parlare fluentemente la nostra lingua.

 

 

Aaron Kleidon, ha i suoi natali a Chester, Illinois, piccolo borgo lungo la sponda sinistra del Mississippi, che vanta tra i suoi concittadini il cartoonist Elzie Crisler Segar (1894-1938), noto soprattutto per aver creato il personaggio di Popeye The Sailor Man nel 1929. Sì, proprio quello, il marinaio dagli enormi avambracci che sconfigge Bruto ingollando spinaci in scatola. Fra l’altro, proprio appena al di là del caratteristico ponte a graticcio che attraversa il fiume all’altezza di Chester, il 27 novembre 1803, i Lewis e Clark che abbiamo eletto numi tutelari di questa storia piena di fascino, stabiliscono un campo ad Horse Island, isola fluviale delimitata dal corso principale e da un ramo secondario del fiume. Aaron poi, prima di iniziare l’avventura di Scratch, vive cinque anni nella più rinomata località sciistica degli Stati Uniti, Aspen, Colorado. Oggi vive ad Ava, Illinois – ad un tiro di schioppo dalla proprietà dove hanno costruito il birrificio – con la sua compagna Stephanie Dukat. Come Marika, Aaron è giudice BJCP, ma ha anche una laurea in arte con specializzazione in fotografia.
Le occupazioni di Aaron precedenti alla fondazione di Scratch compongono una lunga lista che, in ordine cronologico dovrebbe più o meno apparire così: tecnico di camera oscura in un laboratorio di stampa a Chicago (stampa in bianconero con tecniche fotografiche antiche con l’uso di carbone, platino, palladio, albume), fotografo per varie gallerie di St. Louis e Chicago (attività che continua su progetti a lungo termine sul fiume Mississippi), un impiego in un resort vicino alla piste da sci, uno da macellaio, in un hotel, spedizioniere, in aeroporto, in un negozio di alimentari, in uno di liquori, pulitore di tappeti, potatore di alberi, giardiniere. Tutti questi lavori erano finalizzati alla sopravvivenza ad Aspen, Colorado. Il lavoro in aeroporto dava la possibilità di viaggiare. Ha finanche trascorso 8 mesi a rintracciare e monitorare un gregge di pecore big horn per la Colorado Division of Wildlife. Di ritorno a casa, in Illinois, ha poi lavorato in un negozio di liquori e nel vicino birrificio per lungo tempo durante la costruzione di Scratch. E quando si tratta di identificare il suo ruolo all’interno di Scratch, Aaron risponde sorridendo che, trattandosi di una piccola attività, deve necessariamente “indossare molti cappelli diversi”. Dall’aiutare Marika nella preparazione della birra e nello sviluppo di ricette, alla raccolta delle piante nel bosco, dalla costruzione e riparazione di oggetti, alla cura dell’atmosfera dei loro spazi esterni ed all’aiuto in cucina ed il giardinaggio, oltre naturalmente a fotografare il birrificio.

Quando parlano di loro, Marika e Aaron, sono consapevoli che il fatto stesso di aver entrambi viaggiato molto li ha parecchio influenzati nella creazione di Scratch. Marika, oltre a diversi altri viaggi ricreativi in varie destinazioni del mondo, ha vissuto per un’intera estate a Parigi e un’altra a Varsavia, mentre studiava. Ma nessun posto, ammette, le ha preso il cuore come l’Italia. L’Italia è stato il primo posto dove ha capito cosa significa per tutti avere un lavoro adatto alla propria personalità, e che ogni persona può contribuire ad un bene superiore. Un ideale platonico di Repubblica che ha lasciato il segno. Col tempo ha dovuto prendere atto del fatto che forse aveva un po’ troppo idealizzato la realtà del nostro paese. E comunque era qualcosa di sorprendente che ha portavo sempre con sé, da allora. E poi da noi ha imparato ad apprezzare il cibo, Slow Food e l’agricoltura come non aveva mai fatto prima. È convinta che Scratch non esisterebbe se lei non avesse vissuto in Italia, o comunque sarebbe stato qualcosa di significativamente diverso.

 

 

Per alcuni anni del progetto ha fatto parte anche Ryan Tockstein, di Centralia, Illinois. Poi ha vissuto a Edwardsville, sempre in Illinois, mentre oggi vive a Salt Lake City, Utah. È sposato con Jennilyn, ed hanno due figli. Ryan ha una laurea in fisica, ma si dedica all’homebrewing almeno da quando aveva 21 anni. Era membro di un club di homebrewer, gli East Side Brewers, prima di trasferirsi a Carbondale e formare il gruppo Southern Illinois Brewers. Ryan ha costruito la configurazione originale del birrificio, basandola sul suo sistema casalingo di brassaggio, ed ha anche realizzato l’impianto elettrico. Era un po’ il braccio tecnico-scientifico del gruppo, contribuendo ad un inizio di qualità. Ha deciso di lasciare il progetto Scratch nel 2016, per lavorare in un paio di altri birrifici nello Utah, prima di iniziare, recentemente, un nuovo lavoro presso un produttore di dispositivi medici.

Sono Aaron ed Marika a brassare, fisicamente, la birra di Scratch. Ryan a parte, hanno avuto persone che li hanno aiutati in diversi momenti nel corso degli anni, ma in questo momento sono solo loro due a condurre una giornata di brassaggio: uno dei due alimenta il fuoco della caldaia a legna e l’altro controlla il processo. In generale, è Marika ad essere la principale responsabile del processo, del monitoraggio delle fermentazioni, del controllo di qualità e del confezionamento in birrificio; Aaron si occupa principalmente di raccogliere ingredienti selvatici e di gestire ciò che accade nel loro spazio esterno.

Iniziamo allora. Prima di tutto, grazie per la vostra disponibilità. Quando ho letto il vostro libro, diversi anni fa, non avrei mai immaginato di intervistarvi un giorno. Ed invece, eccoci qua. Direi di iniziare dal nome. Perché “Scratch”? Cercando il significato di questa parola sul dizionario English-Italian si possono trovare un bel po’ di differenti significati. Questo termine è un verbo, un nome o un aggettivo? O meglio, quale di questi significati volete che i vostri clienti percepiscano?
Il nostro nome è in qualche modo aperto all’interpretazione, ma è in gran parte un gioco di parole con la frase inglese “made from Scratch”, che significa “partire dal nulla” o “da zero”. Il pezzo di terra su cui abbiamo costruito il birrificio era il terreno di caccia della famiglia di Aaron e oltre ad un vecchio camper giù per la collina non c’era letteralmente nient’altro che un pezzo di terreno vagamente piatto dove si poteva costruire un edificio. Abbiamo costruito l’edificio noi stessi con l’aiuto della famiglia. L’intero posto, comprese la birra, le ricette, le idee venivano dalla terra, erano senza precedenti moderni, venivano da “scratch”, da zero. C’è però anche un altro significato in inglese… quando dici che qualcosa è “from scratch”, spesso comunichi l’idea che sia fatto “in casa”. Penso che ci sia anche un elemento del nostro ethos che proviene da una lunga eredità di agricoltori e contadini che si arrangiavano con quello che avevano e producevano cibo dalla terra.

Avete voglia di descrivere, per i nostri lettori che ancora eventualmente non lo sapessero, che cosa è Scratch (un brewpub, un birrificio, una fattoria, un ristorante, una pizzeria, etc.) e cosa fate?
Scratch è tutte queste cose! Siamo un piccolo birrificio con una grande area dove ci si può sedere e un beer-garden, che si trova letteralmente adiacente al nostro giardino, ovvero dove coltiviamo molte delle cose che finiscono nella nostra birra e nel nostro cibo. Il nostro piccolo menù è di provenienza quasi interamente locale, dalla nostra fattoria o da agricoltori locali. Serviamo antipasti, sottaceti fatti in casa, pane a lievitazione naturale e pizze con farciture provenienti dal nostro orto.

 

 

Quante delle attività di Scratch (voi producete, cucinate, etc.) sono fortemente connesse con le fattorie e l’ambiente circostanti come parte della comunità locale?
Ogni singola parte della nostra attività svolge consapevolmente e coscienziosamente un ruolo nella nostra comunità ed economia locale. Acquistiamo t-shirt e poster serigrafati da artisti locali, ogni anno commissioniamo boccali di birra a ceramisti locali, acquistiamo solo ingredienti da agricoltori locali. Non vedrai mai ananas o arance nel nostro menù, semplicemente perché non crescono qui. Viviamo in una zona rurale povera e crediamo fermamente che uno dei nostri grandi poteri, come impresa, sia quello di creare effettivamente un’economia locale e portare altre persone nella comunità, in quell’economia, attraverso il nostro potere d’acquisto.

Scratch si trova ad Ava, nel sud dell’Illinois, a circa 1 ora e mezza d’auto da St. Louis, una delle maggiori città del Missouri e una delle più antiche. Perché questa posizione? La terra era già di vostra proprietà? La avete avuta a un prezzo conveniente? Vi siete innamorati del posto? Altro?
Abbiamo visitato un certo numero di posti prima di scegliere dove costruire il birrificio nell’Illinois meridionale e Scratch avrebbe potuto finire da qualche altra parte, se la nostra scelta fosse caduta su uno o due posti che ci piacevano. Mentre cercavamo il posto giusto, stavamo effettivamente facendo la birra nei boschi di questo posto, poiché questa è la terra della famiglia di Aaron. Raccoglievamo letteralmente questo o quell’ingrediente selvatico e lo usavamo proprio giù per la collina dove si trova ora il birrificio. Nel tempo, mentre stavamo guardando in altri posti in giro, abbiamo continuato a tornare in questo posto… Abbiamo detto: “Non siamo mai stati in un birrificio in un posto come questo prima, ma… perché no? Questo posto ha un’incredibile connessione con la birra che prepariamo ed è bellissimo”. Eravamo fiduciosi che le persone lo avrebbero capito e sarebbero venute.

Questione di genius loci, quindi. E quanti dei vostri clienti, in percentuale, provengono dalla comunità locale, quanti da St. Louis, quanti viaggiatori occasionali?
I numeri sono cambiati parecchio nel corso degli anni. In questo momento stimerei che circa un terzo viene da St. Louis, un terzo sono viaggiatori di varie provenienze e l’altro terzo viene da località nel raggio di circa 30 minuti in auto.

 

 

St. Louis è stata per decenni l’ultimo baluardo occidentale della colonizzazione europea, prima di attraversare l’ignota e spaventosa Frontiera. Anche la storica spedizione di Lewis e Clark si è radunata da quelle parti, a Camp Dubois, mentre preparava il viaggio raccogliendo provviste nei dintorni per intraprendere il lungo percorso verso il lontanissimo Pacifico. Suppongo che l’area sia ancora intrisa dello spirito avventuroso di quei pionieri. Pensate che oggi, nel 2021, lo spirito di quei coraggiosi esploratori sopravviva in qualche modo alla Scratch Brewing Company?
C’è un livello di sperimentazione che facciamo qui che è simile a quello che stavano facendo i pionieri. Gli esploratori Lewis e Clark hanno fatto numerose osservazioni mentre viaggiavano verso ovest e questo è qualcosa che facciamo anche noi, prendendo appunti frequenti sulla terra e sulle stagioni. In un certo senso abbiamo anche provato a creare qui da Scratch un ambiente avventuroso per tutti coloro che lavorano con noi, permettendoci di nutrirci reciprocamente delle esperienze altrui. Certe volte mi sembra che i nostri cervelli agiscano un po’ come spugne, assorbendo l’entusiasmo e le idee degli altri.

Il vostro posto è anche molto vicino (circa 30 minuti in auto) al mitico fiume Mississippi e circondato da diverse aree protette, foreste, affioramenti rocciosi, laghi e altri luoghi naturali. Questo sicuramente aiuta l’attività di foraging. Dove raccogliete più comunemente le piante selvatiche per la produzione della birra? Esistono limitazioni nel tipo o nella quantità di piante raccolte?
La stragrande maggioranza delle piante che raccogliamo proviene direttamente da questa proprietà. Ci sono alcuni luoghi specifici in cui possiamo raccogliere in modo affidabile alcune cose che non possiamo trovare qui, come i pawpaw (Asimina triloba, N.d.A.), e poi ci sono luoghi che potremmo visitare, e che magari possono offrire nuovi ingredienti che non abbiamo mai usato prima. Non siamo autorizzati a raccogliere nei parchi nazionali o in altre aree protette, ma gran parte della terra qui è in realtà proprietà privata, quindi se conosciamo il proprietario del terreno possiamo raccogliere. Altre aree sono pubbliche, ma non protette. È proprio vero che la variabilità del territorio è una delle maggiori risorse di questa parte del paese. È fertile ed è un crocevia biologico dove molti biomi si incontrano, quindi abbiamo una straordinaria ricchezza di piante.

Quanto è importante per il vostro progetto la sostenibilità della materia prima (da foraging o coltivata localmente, magari anche da risorse genetiche locali)?
Stiamo molto attenti a non raccogliere troppo di nulla. Ad esempio, non faremmo mai una birra con il ginseng (sebbene sia una pianta così stimolante che l’abbiamo riprodotta su una maglietta!). Molti degli alberi che utilizziamo sono in realtà alberi caduti durante le tempeste. E raccogliamo in abbondanza solo se c’è abbondanza. Ad esempio, i finferli crescono da matti nella nostra proprietà in estate. L’obiettivo di Scratch è creare un’attività sostenibile in ogni modo possibile, quindi raccogliere in modo sostenibile è importante quanto essere economicamente sostenibili.

E la sostenibilità del vostro approvvigionamento energetico, sia per il birrificio che per la vostra tap room?
Il nostro obiettivo a lungo termine è utilizzare l’energia solare nel birrificio. Lo avevamo valutato un paio di anni fa. Ma siamo anche nel bel mezzo della costruzione del nostro birrificio. L’abbiamo fatto lentamente senza contrarre prestiti, quindi ogni anno abbiamo dovuto decidere quanto denaro investire in quali progetti. Un risparmio importante di energia lo realizziamo nel nostro bollitore. Il nostro bollitore è a legna e usiamo legna che raccogliamo intorno alla proprietà o acquistiamo come scarto da un produttore di pallet locale. Compostiamo anche tutti i nostri rifiuti alimentari, che quindi tornano in giardino. Non abbiamo praticamente sprechi alimentari.

 

 

Che tipo di attrezzatura usate a Scratch per la produzione di birra?
Il nostro sistema principale è un bollitore in rame da 8 barili (circa 1.272 litri, N.d.A.). Per riempirlo ammostiamo in due barili di legno da 135 galloni (circa 511 litri, N.d.A.) che abbiamo convertito in mash tun. Inoltre, utilizziamo ancora, sebbene raramente, il nostro impianto a propano da 1,5 barili (circa 238,5 litri, N.d.A.) per produrre piccoli lotti.

Mentre molti birrai, sia in Europa che in America, stanno aumentando il loro interesse nell’utilizzo di piante non convenzionali nelle loro birre, la maggior parte di loro le acquista ancora in erboristeria. È più facile e richiede meno tempo – siamo tutti d’accordo – ma immagino che il foraging sia molto più che procurarsi certi ingredienti. Implica stabilire un rapporto più profondo con la Natura, attraversando campi e boschi, godendosi il luogo, respirando aria pulita, identificando le proprie piante da birra e raccogliendo la quantità necessaria evitando di danneggiare le popolazioni vegetali locali. Cosa ne pensate di questa visione? Troppo ingenua e lontana dalla realtà?
Questa è la visione che dobbiamo alimentare e sostenere. Pensare prima di tutto ai materiali da imballaggio, alla spedizione e all’impronta di carbonio che accompagnano tutte quelle piante del negozio, quando spesso, esattamente la stessa pianta può essere raccolta a poche miglia dal negozio stesso. Ancora più importante, tuttavia, è la connessione che la raccolta dà alla terra intorno a te. Se tutti noi facessimo anche un po’ più di questo, anche solo coltivando e raccogliendo erbe, penso che saremmo in grado di apprezzare di più il mondo naturale che ci circonda. In effetti, è il modo più semplice per riconnetterci alla natura. Un altro aspetto importante per noi di Scratch è il modo in cui le piante trasmettono il terroir. Non ci interessa fare una birra che sa di California o Washington, o addirittura di Belgio o Germania. Vogliamo fare una birra che sa di Southern Illinois. Vogliamo preservare quei sapori, quelle piante. Penso che sia importante aprire gli occhi di tutti sul proprio cortile, quindi non vediamo solo le stesse IPA che fluttuano ovunque nel mondo intero. Voglio che le persone scavino a fondo nella loro eredità e nella loro terra per trovare ciò che è unicamente loro. Detto questo, non ci aspettiamo necessariamente che altri grandi birrifici facciano lo stesso. Funziona per noi e per altri birrifici alla nostra scala. Il mondo della birra dovrebbe essere radicalmente diverso affinché tutti i birrifici realizzino lo stesso tipo di progetto. È pratico? O è ingenuo pensare che altri birrifici potrebbero farlo o che il mondo della birra potrebbe addirittura cambiare? Non lo so.

Scegliete e descrivete 3-5 birre (tra le tante che brassate!) che rappresentano appieno la varietà brassicola del progetto Scratch Brewery.
Dandelion Ginger Tonic – Questa birra è fermentata con un lievito madre e non contiene luppolo. È amaricata e aromatizzata con lo zenzero (Zingiber officinale, N.d.A.) che coltiviamo nel birrificio e molti tipi di verdure selvatiche del cortile. Le erbe sono usate come erbe amare in modo molto simile al luppolo e includono tipi selvatici di lattuga, dente di leone, crescione, romice (Lactuca sp, Taraxacum sp., Nasturtium officinale, Rumex sp. N.d.A.). Questi vengono bolliti con il mosto aggiungendo un elemento a base di erbe alla birra, complementari all’agrumato dello zenzero fresco. Questa birra è acida in quanto l’assenza di luppolo permette al Lactobacillus di lavorare. Risulta vivace e rinfrescante ed è un’ottima birra primaverile ed estiva.

Chanterelle Bière de Garde – In estate i finferli crescono ovunque nella foresta vicino al birrificio e noi ne raccogliamo circa 50 kg ogni anno. Il loro profumo ci ha fatto venire voglia di usarli nella birra. Li congeliamo mentre vengono raccolti dalla foresta perché potrebbero essere necessarie diverse settimane per averne abbastanza per la birra. Vengono poi aggiunti al mosto bollente per breve tempo con il luppolo. Questo è fermentato con un lievito lager e fa sì che la birra sia fresca e pulita, permettendo al gusto fruttato di albicocca dei finferli di emergere.

Oak Stein Beer – Questa birra mostra un ingrediente unico e l’esclusivo processo di fermentazione dell’ebollizione con rocce granitiche calde. Si comincia raccogliendo le ghiande nell’ottobre precedente, poi vengono essiccate al sole per tre giorni, dopodiché vengono confezionate in barattoli e sigillate. Fermentano e si ossidano con il tempo e i vasi vengono periodicamente ventilati per scaricare la pressione. Questi iniziano a profumare di sherry e bourbon dopo un anno di invecchiamento. La mattina in cui si brassa si fa un grande fuoco e vi si impilano rocce di granito sopra. Dopo 3 ore il fuoco si spegne e le rocce sono incandescenti. Una ad una le rocce vengono poste nel mosto per farlo bollire. Questo crea una ricca caramellizzazione del malto e spesso un leggero sentore smoked. La corteccia e le foglie di quercia tostate vengono aggiunte al mosto durante questa bollitura, insieme al luppolo, per aggiungere amarezza. Una volta che la birra è stata fermentata, le ghiande fermentate invecchiate vengono aggiunte alla birra e lasciate riposare per un mese. Questi aggiungono complessità e tannini alla birra.

Single Tree Hickory – Questa birra è stata una della serie chiamata “Single Tree”, in cui abbiamo raccolto quante più parti possibili di una specifica varietà di albero per vedere quali sapori e aromi poteva aggiungere alla birra. Nella serie abbiamo realizzato Oak, Hickory, Maple, Birch, Sycamore e Cedar (Quercus, Carya, Acer, Betula, Platanus occidentalis, Calocedrus, N.d.A.). Questo è uno di quelli che a noi e ai nostri clienti è piaciuto di più e sembra l’emblema del nostro birrificio perché siamo circondati da alberi di noce (Carya illinoinensis, N.d.A.). Abbiamo usato foglie di hickory e noci in ebollizione per amaricare, e tostato la corteccia fino a quando non era quasi fumante e abbiamo aggiunto anche quella per conferire un aroma che ricorda i marshmallow tostati. Questa è probabilmente anche una birra particolarmente americana, poiché l’hickory è originario di questo paese ed è uno degli alberi che usiamo spesso per affumicare la carne negli Stati Uniti. L’aroma dei marshmallow tostati è poi anche qualcosa che tutti abbiamo inciso nella nostra infanzia dai tempi delle prime esperienze di campeggio nei boschi. Così tante persone bevono questa birra e hanno un momento proustiano che li riporta a un tempo assai familiare nella loro memoria.

St. Louis ospita una delle istituzioni botaniche più importanti del mondo, il Missouri Botanical Garden. Immagino voi l’abbiate già visitato. Penso che un’istituzione come questa potrebbe essere il posto giusto dove incontrare botanici professionisti. Immagino che abbiamo bisogno di una più stretta collaborazione tra il mondo scientifico della ricerca botanica professionale e quello della botanica applicata. Possiamo immaginare, secondo voi, una più stretta collaborazione tra birrai e botanici in futuro?
Spesso, almeno negli Stati Uniti, il botanico conosce la pianta ma non ne conosce gli usi o i rimedi popolari. E d’altra parte, spesso la persona che conosce gli usi popolari non conosce le origini scientifiche delle piante. Avere una più stretta collaborazione tra i due aiuterebbe a colmare il divario, in modo che le piante non appaiano così estranee.

Direi che il messaggio è piuttosto chiaro, per cui non aggiungo altro. Purtroppo spesso esiste questa separazione che considero un’autentica assurdità. Cosa mi potete dire invece, della proposta gastronomica della Scratch Brewing Company? Ho visto pizze e alcune capre il cui latte è forse usato per fare il formaggio?
L’unica cosa che non facciamo veramente a Scratch è caseificare, poiché i regolamenti sono ancora più rigidi di quelli sull’alcol e al momento non abbiamo i soldi da investire in una struttura adeguata. Acquistiamo il nostro formaggio di capra da un premiato produttore nelle vicinanze. Coltiviamo mais ma compriamo il nostro grano per pane e pizza dal mulino più vicino, che è a circa 3 ore di distanza, sempre in Illinois. Usiamo un lievito madre per la nostra lievitazione per pizza e pane e usiamo la stessa coltura anche in molte delle nostre birre. L’abbiamo fatto partire proprio nella nostra cucina.

E soprattutto, che dire dell’ospitalità notturna? Non riesco a immaginare di guidare dopo aver assaggiato così tante diverse birre artigianali.
Abbiamo lanciato molte idee che consentirebbero alle persone di rimanere sul posto, per lo più opzioni rustiche, ma ancora nulla è nei piani. Ci sono altri luoghi nelle vicinanze che non sono troppo lontani. Aaron affitta una vecchia banca nella città di Ava tramite airbnb, che ha ristrutturato e dove espone fotografie che ha realizzato, rocce, fossili e punte di freccia che ha trovato nella zona e altre curiosità. Sfortunatamente la nostra proprietà, è bella perché è circondata da alberi e colline, quindi non è esattamente favorevole per la costruzione o l’aggiunta di strutture. Significa anche far funzionare impianto idraulico ed elettrico in modo equo. Quindi è più complicato di quanto sembri.

Considero The Homebrewer’s Almanac una delle più importanti pubblicazioni sulla birra degli ultimi 20 anni. Ciò è dovuto alla vera innovazione che può portare nella mentalità del birraio e nell’approccio agli ingredienti e all’ambiente. È un regalo davvero generoso per l’umanità e per la produzione della birra. Quindi, grazie per averlo scritto. I nostri lettori sono senz’altro curiosi di sapere come è nata l’idea e come ha preso la sua forma definitiva.
Grazie mille per le tue gentili parole. Dato che io (Marika) avevo esperienza di pubblicazione, è stato davvero un processo naturale. Un’amica editrice è venuta a visitare Scratch un paio di anni dopo l’apertura e ha detto: “Penso che ci sia un libro qui”. Non più tardi di due settimane dopo, tornata in ufficio, un editore stava cercando un libro sulla birra. È così abbiamo lanciato l’idea. In realtà volevamo scrivere la guida che non esisteva quando abbiamo iniziato. Ci sono una manciata di libri fantastici che abbiamo consultato spesso (Sacred and Herbal Healing Beers è uno dei nostri preferiti in assoluto), ma niente con consigli pratici e moderni. E volevamo anche che ispirasse le persone in molti angoli del globo. Sapevamo che molti degli ingredienti con cui producevamo sarebbero stati ovviamente specifici per la nostra zona, ma ciò non significa che non possano essere d’ispirazione. O che un processo che funziona da noi non potrebbe funzionare con un’altra pianta in un altro posto. Gran parte del nostro compito è stato trasmettere il senso di sperimentazione che portiamo nel nostro progetto. Penso che i birrai abbiano la tendenza a farsi prendere dai numeri e dalla scienza. Questi sono aspetti importanti del processo, ma possono soffocare la creatività. Volevamo mostrare quanto sia divertente essere creativi. È l’unico modo in cui le persone troveranno la via del ritorno al loro terroir.

 

 

Non ho potuto fare a meno di notare che gran parte della bibliografia sull’uso delle piante selvatiche che avete riportato nell’Almanac riguarda gli usi tradizionali delle piante da parte dei Nativi Americani. Questa zona, in epoca precolombiana, faceva parte del territorio della tribù Illinois, che poi ha dato il nome all’intero stato. Credete esista qualche connessione tra la vostra attività odierna e l’eredità di quell’antica saggezza che risuona in queste terre da migliaia di anni?
In questi giorni siamo estremamente consapevoli di appropriarci delle tradizioni e dei patrimoni di altre persone, quindi spero che il nostro lavoro sia tanto rispettoso quanto ci meravigliamo della varietà di usi che i popoli nativi facevano delle piante ben prima che arrivassero i coloni bianchi. Sì, spero che stiamo solo continuando una linea di connessione sostenibile e rispettosa con la terra. Spesso guardiamo agli usi nativi se usiamo qualcosa per la prima volta perché inevitabilmente una pianta è stata utilizzata in molte applicazioni per migliaia di anni prima che i coloni bianchi cancellassero quella conoscenza.

Nell’Almanac, pubblicato nel 2016, avete descritto l’utilizzo di non meno di 135 specie di piante vascolari nella produzione della birra. Immagino che in questi ultimi anni abbiate sperimentato e utilizzato ancora altre piante nelle vostre birre? State forse progettando un nuovo libro per condividere con noi la nuova esperienza acquisita?
In realtà non ci eravamo resi conto che fossero così tante! Wow. Aaron e io abbiamo parlato di altri progetti, forse specificamente con gli alberi, che sarebbero stati ancora più dettagliati. O dettagliare il processo della produzione con le rocce. Se l’interesse c’è, saremmo sicuramente felici di condividere più conoscenza! Da qualche parte nell’introduzione abbiamo scritto che quella era solo una registrazione di ciò che sapevamo in quel momento. Sicuramente abbiamo imparato ancora di più 4 anni dopo.

E l’ispirazione, le informazioni base, derivano tutte dalle vostre esperienze dirette o avete dei libri di riferimento dai quali avete mutuato suggestioni e consigli pratici, che eventualmente anche i nostri lettori possano consultare e trarne insegnamento?
Molto deriva dalla nostra lunga esperienza diretta e dal percorso di ottimizzazione di ingredienti, dosi e processi avvenuto nel corso della lunga sperimentazione che ha preceduto la produzione di Scratch. Tuttavia, un grande debito di riconoscenza lo abbiamo nei confronti di due libri che hanno avuto un grande impatto sul nostro approccio al brassaggio ed alla terra. Si tratta di Sacred and Herbal Healing Beers di Stephen Harrod Buhner, già citato prima, e di The Homebrewer’s Garden di Joe e Dennis Fisher. Abbiamo brassato una discreta quantità di birre a partire da questi libri, sempre consultandoli prima di usare un nuovo ingrediente. Anche indispensabili, soprattutto all’inizio, sono Brew Like a Monk di Stan Hieronymus e Farmhouse Ales di Phil Markowski, uno sguardo esperto sulle birre belghe in linea con il nostro approccio all’aggiunta di erbe e spezie. Naturalmente, siamo molto curiosi di leggere il tuo enciclopedico volume La Botanica della Birra appena sarà disponibile nella nostra lingua per trarne ulteriore ispirazione.

Beh, grazie davvero della fiducia. Speriamo sia disponibile per il mercato anglofono per la prossima estate. Tornando a noi, come immaginate voi stessi e la Scratch Brewing Company nei prossimi anni? Più birra? Più cibo? Più ospitalità? Più persone coinvolte (se avete bisogno di un botanico tenetemi a mente)? Altri sogni?
Non vediamo grandi cambiamenti. Abbiamo pensato che, dopo la flora, sarebbe stato divertente menzionare tutta la fauna selvatica che vediamo dentro e intorno al birrificio: all’interno del birrificio abbiamo visto tartarughe, salamandre, scinchi, rane… mentre fuori abbiamo visto tacchini, cervi, aquile calve, falchi, picchi, procioni, opossum, scoiattoli (mangiano tutta la nostra frutta dagli alberi da frutto!), armadilli, puzzole, serpenti a sonagli, serpenti ramati, serpenti reali, serpenti neri. Una cosa senz’altro utile di questa terribile pandemia è che ci ha costretti a ripensare alcune cose. Non serviamo cibo a Scratch da marzo 2020, ma riteniamo, quando riprenderemo a servire di nuovo il cibo, che forse potremmo imboccare un’altra direzione, ancora più in linea con il processo e gli ingredienti della nostra birra, magari con uno chef appassionato che può fare col cibo quello che noi facciamo con la birra. Aaron e io abbiamo anche considerato la possibilità di esplorare il nostro terroir negli alcolici e nel vino, e sarebbe divertente fare alcuni progetti su piccola scala con uno o entrambi. Ottenere la licenza per questo è tuttavia complicato, o probabilmente già lo faremmo. Inoltre, proprio perché è stato incredibilmente significativo per noi viaggiare ed incontrare altre persone in altri Paesi che stanno facendo esperienze simili alla nostra o comunque promuovendo il nostro modo di fare birra, ci piacerebbe continuare a viaggiare quando potremo farlo di nuovo. E naturalmente, ci piacerebbe fare qualcosa con te qui o in Italia (o in entrambi i posti).

Beh, grazie mille Marika. Grazie a te ed Aaron per quello che fate e per l’invito a collaborare. Per me sarebbe un grande onore ed una notevole sfida. Dico che tutto è possibile, anche indipendentemente dalla distanza. D’altro canto, se c’è davvero qualcosa che la pandemia ci ha insegnato, è che spostarsi fisicamente da un posto all’altro, soprattutto ora che siamo più consapevoli di quanto costi, in termini ambientali, un volo aereo, è di sicuro l’ultima risorsa da prendere in considerazione. Credo tuttavia anche che, appena sarà finito questo periodo di incertezza ed immobilismo forzato, potrebbe essere assai piacevole trovarmi su una panchina di Scratch e farmi un paio di birre, e forse anche qualcuna in più. Uno spicchio di pizza, un pezzo di formaggio di capra, e qualche calice da svuotare in vostra compagnia, sapendo di alimentare un’economia pulita e giusta che sostiene una comunità che si impegna strenuamente per portare avanti uno stile di vita e produttivo a basso o bassissimo impatto. Sono praticamente sicuro che sarebbe un’esperienza gradevole per i sensi ed appagante umanamente. Che ci siano persone come voi mi infonde grande speranza nel futuro. Chissà che prima o poi questo sogno non si avveri sul serio.

I miei eroi, gli Scratchers, come amo definirli, si sono spinti ben oltre la semplice proposta, ad una nicchia di consumatori, di una serie di birre a dir poco curiose, ovvero brassate utilizzando ingredienti e tecniche quanto meno improbabili. No, non è tutto qui, anche se questo, da solo, costuirebbe già una piccola rivoluzione. Ma il loro “graffio”, ho dovuto constatare, è molto più potente. Così potente da indicarci addirittura la strada verso un nuovo modello economico. Un mondo in cui la Nuova Frontiera non è conquistare vani traguardi spaziali di kennediana memoria, né tanto meno accumulare illimitate ed insensate ricchezze (che poi magari non si ha neanche il tempo di spendere!), ma guadagnarsi da vivere condividendo il proprio destino professionale e umano con i propri amici, con i propri vicini, e, forse ancora più importante, come parte di una comunità locale. Una comunità che ha saputo porre al centro valori fondanti e sempre più imprescindibili come la salubrità dell’ambiente, la conservazione della fertilità dei suoli, l’agricoltura sostenibile e biologica, l’integrità degli ecosistemi naturali, il godimento sostenibile dei servizi ecosistemici, il leale supporto reciproco. Va da sé che semplici transazioni commerciali e finanziarie sono inevitabili anche in questo sistema ma, poco male se non ne sono più il centro. Tanti sistemi del genere imporrebbero un modello economico ed energetico alternativi a quelli odierni, che ormai, piaccia o meno, hanno dimostrato ampiamente la loro totale insostenibilità.
Lunga vita ai temerari di Scratch quindi, – non meno coraggiosi dei celebrati 33 che si spinsero fino alle coste del Pacifico, – per aver avuto la capacità incredibile di far convivere quello che apparentemente sembrava del tutto incompatibile, lo spirito dei pionieri con la spiritualità dei nativi, la forza propulsiva dei coloni europei e la quieta saggezza della conoscenza tradizionale del territorio. Non so onestamente come ci siano riusciti, ma da quei bicchieri emerge il meglio di due culture che riescono finalmente a convivere senza osteggiarsi a vicenda. Per una volta in un bicchiere troviamo la sintesi pacifica di questo sforzo culturale di avvicinarsi l’un l’altro, incuranti delle inevitabili diversità. Non c’è da stupirsi quindi, se in aiuto degli Scratchers ritorna l’antica conoscenza etnobotanica dei Nativi Americani. Le piante che millenni di conoscenza delle popolazioni native hanno sdoganato come commestibili, oggi diventano birre straordinarie nella mani di questi moderni pionieri. La storia pare proprio si ripeta, confermando, se ve ne fosse bisogno, che apparteniamo tutti alla grande famiglia umana.

E mentre scorrono in fretta i titoli di coda di questa storia magnifica, mi sento di suggerire ai temerari che si sono spinti fino a leggere queste righe finali, che Aaron e Marika, in realtà non producono birra. Loro sono i Lewis e Clark dei giorni nostri, ed il pregevole network di umanità che sostiene ed è sostenuta dal loro progetto, altro non è che l’edizione moderna degli epici Corps. Niente di più, niente di meno. Sono esploratori, capaci con la sola forza della loro volontà e del loro ingegno di avventurarsi in un onirico territorio sconosciuto. Un fantastico mondo brassicolo fatto di passato e presente, di natura e cultura, di saperi moderni e saggezza antica. La loro mission, o forse dovremmo dire, la loro expedition, è mettere insieme mondi apparentemente inconciliabili ed offrire ai viandanti assetati l’opportunità unica ed irripetibile di entrare in contatto con quei mondi.

 

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Giuseppe Caruso
Info autore

Giuseppe Caruso

Docente di Botanica Forestale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nonché insegnante di Scienze Naturali e Biotecnologie Agrarie presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, botanico (consulente scientifico per enti pubblici, privati, professionisti), disegnatore botanico, beerlover, beer sommelier.
Diploma di Perito Agrario presso l’Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro, Laurea in Scienze Agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Dottorato di Ricerca in Botanica Ambientale ed Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona.
Membro di diverse associazioni scientifiche: Organization for Phyto-Taxonomic Investigation of the Mediterranean Area, Società Botanica Italiana, Società Italiana di Scienze della Vegetazione, Società Italiana di Biogeografia, Society for Economic Botany, International Biogeography Society.
Pubblicate numerose ricerche scientifiche sulla flora dell’Italia Meridionale nei campi della tassonomia vegetale, floristica, vegetazione, conservazione, museologia, didattica e divulgazione scientifica. Principali interessi scientifici: ricerca botanica (tassonomia vegetale, floristica, vegetazione), analisi fitogeografico-vegetazionale (metodo fitosociologico e geosinfitosociologico dinamico-catenale), ecologia vegetale, conservazione e valorizzazione delle risorse naturali, recupero aree degradate e gestione verde urbano, sentieristica naturalistica, analisi/planning dei processi formativi, outdoor environmental education.
Libri pubblicati: Guida al riconoscimento di alberi, arbusti, cespugli e liane del PN della Sila (PN Sila, 2011), Andar per piante tra terra e mare – Escursioni botaniche sulle coste della Calabria (Koeltz Scientific Books, 2015). Nell’ultimo libro, La Botanica della Birra (Slow Food Editore, 2019), frutto di un lunghissimo lavoro di documentazione, unisce due grandi passioni, la botanica e la birra, raccontando con rigore scientifico le proprietà brassicole di oltre 500 specie vegetali impiegate nel brassaggio. Lo stesso libro è stato tradotto in inglese e pubblicato nel 2022 come The Botany of Beer dalla Columbia University Press (New York, US).