Numero 52/2018

27 Dicembre 2018

Luppolo: una essenza preziosa raccontata attraverso rare immagini storiche della raccolta

Luppolo: una essenza preziosa raccontata attraverso rare immagini storiche della raccolta

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Il luppolo, come è noto a tutti gli appassionati di birra, dona coni amari, profumati e preziosi. Fin dal passato, al luppolo, è stata riconosciuta una importanza economica degna delle spezie provenienti dal lontano Oriente: la ragione è legata alla difficoltà di coltivazione della pianta che, soprattutto in passato, quando i mezzi tecnici erano limitatissimi, richiedeva sforzi fisici pesantissimi ai contadini e quantità di manodopera elevatissima rispetto ad altre colture.

Una pianta che, se da una parte ha fatto la fortuna di molti agricoltori del passato, è stata anche la ragione di pesantissimo sfruttamento di bambini e donne per il lavoro nei campi e che, come testimoniano numerosi testi di metà Ottocento, ha causato numerose vittime di infortuni sul lavoro. L’importanza del luppolo per le aree tradizionali di coltivazione nel continente europeo è testimoniato dalla presenza di un buon numero di “reperti” storici realizzati su dagherrotipi o con le primissime pellicole fotografiche. Immagini e rappresentazioni che, sotto la patina di un fascino romantico, descrivono più di mille parole la fatica e le condizioni di lavoro negli antichi luppoleti.

 

Per questo, preferiamo tacciare la nostra penna virtuale e lasciare a voi, mediante l’osservazione diretta di questa galleria fotografica, immaginare  e riflettere sul passato del luppolo, sulla sua storia e su ciò che ancora oggi, nell’agricoltura del terzo millennio, conserva nelle sue radici culturali, oltreché colturali.

 

Iniziamo con il proporvi alcune fotografie del duro lavoro nei luppoleti, stupisce la presenza di molti bambini e di tante donne, costrette a fornire manovalanza a bassissimo costo, soprattutto per il raccolto dei coni.

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Ma il lavoro nel luppoleto non era solo compiuto dagli uomini: molti animali da traino, come cavalli e buoi, venivano impiegati per il trasporto dei coni e delle frasche, durante interminabili e pesanti giornate di tarda estate. Solo più recentemente, in particolare, dopo il primo dopoguerra si è realizzato l’introduzione dei primordi di meccanizzazione in sostituzione dei carri a trazione animale.

 

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Le estenuanti giornate di lavoro, non terminavano però nei campi: allora come oggi, i coni dovevano essere prontamente essicati affinché si conservassero nel tempo, fino alla trasformazione. Ancora oggi, nelle campagne dei tradizionali luoghi di coltivazione, si possono individuare gli edifici degli antichi centri di essicazione e stoccaggio. All’interno di quelle antiche mura, molti uomini hanno consumato molta fatica per soddisfare i momenti gioiosi di una buona bevuta.

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Immagini di un passato lontano, che ormai non esiste più, ma che è necessario conoscere per sapere davvero cosa è oggi la birra quali sono gli aspetti più forti e duri della sua antichissima storia.

 

 

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Massimo Prandi
Info autore

Massimo Prandi

Un Albese cresciuto tra i tini di fermentazione di vino, birra e… non solo! Sono enologo e tecnologo alimentare, più per vocazione che per professione. Amo lavorare nelle cantine e nei birrifici, sperimentare nuove possibilità, insegnare (ad oggi sono docente al corso biennale “Mastro birraio” di Torino e docente di area tecnica presso l’IIS Umberto Primo – la celeberrima Scuola Enologica di Alba) e comunicare con passione e rigore scientifico tutto ciò che riguarda il mio lavoro. Grazie ad un po’ di gavetta e qualche delusione nella divulgazione sul web, ma soprattutto alla comune passione e dedizione di tanti amici che amano la birra, ho gettato le basi per far nascere e crescere questo portale. Non posso descrivere quante soddisfazioni mi dona! Ma non solo, sono impegnato nell’avvio di un birrificio agricolo con produzione delle materie prime (cereali e luppoli) e trasformazione completamente a filiera aziendale (maltazione compresa): presto ne sentirete parlare!