4 Novembre 2015

Intervista a Raffaello Dell’Agata, il publican di SCOTT DUFF & SCOTT JOPLIN – Seconda parte

Intervista a Raffaello Dell’Agata, il publican di SCOTT DUFF & SCOTT JOPLIN – Seconda parte

Condividi, stampa o traduci: X

Tag: , ,

 

 

Ecco l’attesissima prosecuzione dell’intervista a Raffaello Dell’Agata: clicca qui per leggere la prima parte!

Quali sono i tuoi gusti personali in fatto di Birre? La tua linea di pensiero è più belga, tedesca, british oppure….italiana?

Allora te lo dico subito. Personalmente il mio gusto è vicino alle birre tedesche del Nord della Germania e di una parte della Franconia. Mi piacciono molto le “Rauch” ma non la “Schlenkerla” perché è troppo grezza. Mi piacciono molto le “Dunkelbier” di un certo tipo. Oltre a questo mi sento affine alle “Pils” del nord, le “Berliner Weisse” e le “Gose” quando sono equilibrate e fatte bene.

L’altra tipologia di birre a cui mi sento molto legato sono le birre inglesi, specialmente quelle interpretate in chiave moderna. Prendo sempre ad esempio un birrificio come “Moor” perché riesce a coniugare la tradizione inglese con un quid di modernità e quindi con una grandissima “beva”.

.

.

Quindi per te la modernità dello stile inglese sta in questo: birre più bevibili ed accessibili a tutti?

Prima si lavorava molti più sui malti tostati e sul sapore “maltato”, si sentiva molto più il caramello,la nocciola, il senso di “orzata” imperava.

…erano più sbilanciate quindi…

….erano sempre più “sbilanciate” (rispetto alla visionemedia di oggi del consumatore). Una vera e tradizionale Mild è molto difficile da bere per il pubblico, forse anche in parte per me; una la bevo senza problemi ma a me interessa che il cliente ripeta la bevuta: una, due, tre birre. Invece oggi abbiamo dei birrifici inglesi che sono riusciti a coniugare bene la tradizione con una tipologia di luppolatura, una tipologia di birra “watering” cercando di smorzare il senso di “orzo, malto e tostato”.

…..non troppo secca e/o astringente ma scorrevole in bocca
…esatto. Fermo restando che amo tutte te birre fatte bene e molte anche italiane.

.

.

Ecco appunto, hai introdotto la prossima domanda: per te cos’è o quale dovrebbe essere la/le caratteristiche discriminanti di una buona birra in stile tutto italiano? E quale futuro per le Birre della nostra nazione?

L’Italia sta diventando una nazione interessante da questo punto di vista perché sta imboccando la propria via, la propria strada e il riconoscimento dello stile “ItalianGrape Ale” ne è una chiara testimonianza. Molti altri non hanno ancora trovatopropria strada come ad esempio i produttori scandinavi che sono molto bravi e competenti. E’ difficile dire “questa birra è tipicamente Danese”. Quando bevo una loro birra ho la sensazione di bere un’ottima “birra americana” anche perché i loro grandi maestri e birrai sono spesso americani emigrati.

Quindi mi sembra di capire che la caratteristica discriminante che ci contraddistingue possa essere la “creatività”

Assolutamente si, la capacità ad esempio di unire la tradizione vinicola a quella birraria. La capacità che ha l’italiano, anche per l’esperienza e l’eccellenza nel “food”, di unire i prodotti autoctoni di altissimo livello qualitativo alla birra vedi il Ficodindia, le ciliegie garbagnina, le nespole eccetera che in altri stati non hanno perché ricordiamoci che l’Italia in Europa è il paese con il più alto grado di biodiversità e quindi le specie agricole più varie. In questo momento i nostri birrai lo sanno e alcuni ci giocano troppo altri invece lo fanno seriamente e riescono a fare dei prodotti competitivi a livello mondiale. E questo è molto rilevante se inserito in un panorama nel quale tutte le strade sembravano già state battute. Infatti è difficile inventarsi un proprio modo di fare birra quando già prima di te ci sono stati i belgi, i tedeschi, gli inglesi ed ora gli americaniche hanno fatto il ritorno, nel novantacinque, al legno. L’italiano pian piano, nel proprio piccolo ci sta riuscendo.

.

.

Il fenomeno “Birra Artigianale” ormai sta diventando una tendenza. Come lo vedi il futuro in tal senso?

InItalia al momento si sta assistendo ad un fenomeno che è un po’ sfuggito di mano nel senso che mille birrifici sono troppi. Teniamo sempre presente e qui arrivo ad uno dei tasti dolenti di cui volevo parlare e per il quale mi hai dato l’input, l’italiano beve sempre e soltanto trenta litri di birra pro capite contro i novanta degli inglesi, i 150 della Repubblica Ceca che sono i più grandi bevitori di birra al mondo dopo i bavaresi che si attestano sui 180. Se vogliamo fare una nota di colore in Italia i più grandi bevitori sono in Sardegna nella zona di Oliena, se non erro, dove hanno consumi a livello degli inglesi. Quello che voglio dire è che molti alla ricerca di un nuovo “eldorado” si sono buttati nel settore e presto assisteremo ad una inevitabile selezione naturale dalla quale ne usciranno solo i migliori e coloro che lo fanno con cognizione di causa. Il futuro è sicuramente nell’avere l’impianto e nell’avere la terra dove coltivarsi il proprio orzo da maltare e tanti stanno andando in quella direzione. È necessario avere e cercare di controllare una parte della filierae in secondo luogo è fondamentale l’espansione sui mercati esteri. Questo è fondamentale perché attualmente il mercato italiano non sarà in grado di accogliere tutta questa offerta in quanto, come già detto, l’italiano ancora consuma poca birra.Per anni si è pensato che il futuro della birra artigianale fosse nelle belle bottiglie somiglianti al vino più raffinato, come se la birra fosse un dio minore, e che la via fosse quella della “bottiglia da ristorante”. Questa idea della birra come prodotto da ristorante è completamente fallita. Adesso si sta recuperando il tempo perduto, ed anche velocemente, portando in locali ad essa più consoni, come i miei. C’è ancora un problema di abbattimento di costi, ancora un po’ troppo elevati e soprattutto una burocrazia asfissiante per i produttori e tutta la filiera.

Nel tuo ultimo discorso mi hai dato lo spunto per un’altra domanda che non era in programma: tu hai parlato di filiera, ecco vorrei capire cosa ne pensi considerato che secondo me prima di parlare di questo dovremmo parlare dei maltifici perché non possiamo pensare, come attualmente avviene, di mandare il nostro orzo a maltare, con dei costi enormi e poi vederci tornare un malto che non proviene dal nostro orzo stesso.

Certo assolutamente d’accordo con te. E’ un po’ come il frantoio, porti le tue olive ma non sai mai l’olio da quali è stato estratto. Se un birrificio ha l’ambizione ad ingrandirsi oltre un certo numero di ettolitri sicuramente bisogna organizzarsi sulla filiera e accorciarla e poter controllare in prima persona la qualità e la freschezza del malto che riceve (come del luppolo). Le malterie in Italia sono piccole al contrario di quelle tedesche, questo può essere un vantaggio e uno svantaggio. Ad ogni modo la strada è già stata tracciata ed è quella giusta tant’è che lo stile della birra artigianale italiana comincia ad essere riconoscibile all’estero e richiesto. Io vedo ad esempio molti russi che vengono qui e vogliono bere solo birra italiana che risulta molto bilanciata e questa cosa all’estero piace molto. Al contrario le birre americane sono molto spinte o sulla luppolatura o sul caramello eccetera. Una “Pumpkins Ale” americana è una botta: c’è tanta zucca, tanto zenzero, cannella, noce moscata etcetc….La via italiana invece comprende: materie prime eccezionali, biodiversità, prodotti originali miscelati tra di loro e bilanciamento tra tutte le caratteristiche. Secondo me è questa la chiusura del cerchio. La parola chiave è: BILANCIAMENTO, birra bilanciata!

Sei stato chiarissimo. Adesso siamo giunti all’ultima domanda di quest’intervista a 360 gradi su di te e sulla birra quindi: quale futuro per Raffaello Dell’Agata e quali progetti per i tuoi locali lo Scott Duff e lo Scott Joplin?
Ma guarda per adesso siamo contenti di riuscire a rimanere aperti, di avere il nostro pubblico, vogliamo trovare prodotti sempre nuovi e di qualità che soddisfinoi miei clienti. Mi piacerebbe collaborare all’apertura di un pub di un certo tipo all’estero. Per quanto riguarda i locali di Milano al momento non riesco ad immaginare come possano modificarsi però mi piacerebbe aprire uno Scott Joplin itinerante ed avere un camioncino che gira per le vie della città. Ho in mente anche un’idea “forte” per un locale innovativo dalpunto di vista birrario, ma preferisco glissare e chissà, spero di poterne parlare quando esisterà in concreto.

.

.

Ottima idea questa complimenti. Ma questo progetto lo vedi su Milano oppure pensi magari alla piazza di Roma che in fatto di birra artigianale è ben più navigata? Come Vedi a proposito la Milano della Birra?

Beh la piazza di Roma è dieci volte Milano, qui la birra è ancora vista “strana” , soprattutto nella zona dello Scott Duff. Milano è ancora la città del “Campari” con grande rispetto per questa grande azienda. La gente rimane spiazzata sulle birre, non è infrequente che alcune persone entrino nel locale, leggano le spine, si intimoriscano ed escono perché non conoscono il prodotto e/o non sanno cosa scegliere; se io non sono rapido ad intercettarli e a dar loro spiegazioni ed informazioni utili e “rassicuranti” perdo il cliente.

Gli stranieri invece quali prodotti chiedono maggiormente? E gli italiani?
Gli stranieri vogliono sempre una “italianbeer” indifferentemente dallo stile vogliono un’italiana mentre gli italiani sono più eterogenei: i generalisti che prendono solo “Pils”, gli appassionati di “Weisse”, quelli “se non ha 100ibu non mi interessa”, quelli che vogliono solo una single hop, e quelli che “come hanno bevuto all’Oktober non esiste perché erano così leggere che andavano giù benissimo”…ma poi mi chiedono la birra da 9°…

….a proposito di weisse questa categoria magari è assimilabile a coloro che si sono appena approcciati alla birra artigianale e in quanto abituati dalle industrie a bere sempre lagher / pils confondono il sapore particolare, il corpo e anche il residuo di lieviti sul fondo ed in sospensione di questo stile assimilandolo al concetto di “artigianale” discorso invece ben più complesso e articolato. Che ne pensi?

Certo, può essere benissimo così ma qui dovremmo, come giustamente dici tu, aprire un discorso a parte su quello che è inteso come concetto di artigianale e non è una questione così scontata…magari ne riparliamo in un altro spazio o in privato. Tornando al discorso di prima poi abbiamo gli esperti che bevono solo “IPA” anche se sono disposti ad assaggiare di tutto ed infine abbiamo un piccolo gruppo, una nicchia che beve “acido” quindi “Lambic, Geuze”, quelli che se non è “ lattica” la birra non la toccano.

Allo Scott Duff la grande maggioranza beve “IPA – PILS” e dopo “Weisse”.

 

Condividi, stampa o traduci: X

Filippo Scandurra
Info autore

Filippo Scandurra

Sono un agronomo palermitano che vive a Milano, spinto da una grande passione per la birra artigianale, per la chimica e per la microbiologia ad essa applicata.
Ad inizio 2014, decido di entrare nel meraviglioso mondo dell’homebrewing e dopo un inizio totalmente da autodidatta frequento il corso professionale di cultura e degustazione di birra artigianale tenuto da Lorenzo Dabove (kuaska), Luigi d’Amelio (Schigi – Extraomnes) e Max Faraggi e mi iscrivo all’associazione culturale di settore degli “Homebrewer siciliani” organizzando eventi, concorsi e corsi pratici.
Nel frattempo, essendo socio attivo prima e adesso membro del comitato di condotta Slow Food, ho cercato, attraverso l’organizzazione di eventi, degustazioni guidate, per le quali sono relatore, cene, di divulgare e diffondere la cultura birraia tra la gente.
I risultati sono stati più che buoni.
Stesso obiettivo è per il giornaledellabirra.it attraverso il quale cerco di trasmettere il mio entusiasmo, la mia passione per questo affascinante mondo cercando di dare utili informazioni e di fare cultura.
Nel 2015 decido di lasciare tutto, di lasciare la mia bellissima Sicilia per partire alla volta di Milano con lo scopo di fare tanta esperienza, studiare e di lavorare nel mondo brassicolo.
Attualmente infatti, da Gennaio 2016, ho intrapreso il percorso dell’Alta Formazione, seguendo un corso professionalizzante presso il “DIEFFE – Accademia delle Professioni” in Noventa Padovana (PD) che mi permetterà anche di svolgere uno STAGE FORMATIVO presso una o più importanti realtà brassicole del panorama italiano e/o europeo.
Acquisirò il titolo di “Birraio artigiano” oltre all’abilitazione alla Somministrazione e Vendita di Alimenti e Bevande (Ex Rec) ed alla Competenza HAACCP e Igiene sul Lavoro.
Per un paio di mesi ho fatto esperienza presso un piccolo birrificio piemontese affrontando di volta in volta le diverse problematiche concernenti la cotta ma anche l’imbottigliamento, il rapporto con i clienti, le consegne e spedizioni.