Numero 08/2023

22 Febbraio 2023

Alla scoperta degli stili: AMERICAN LAGER

Alla scoperta degli stili: AMERICAN LAGER

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Lo stile di cui parleremo oggi, il secondo del BJCP, fa parte della categoria delle Standard American Beer ed è denominato American Lager, con codice identificativo 1B.

Iniziamo quindi con la scheda che viene proposta nel documento delle linee guida:

 

Impressioni Generali: Molto chiara, carbonazione elevata, corpo leggero, birra a bassa fermentazione ben attenuata con un profilo gustativo neutro e amaro poco presente. Da servire molto fredda, può essere molto rinfrescante e dissetante.

 

Aroma: Un leggero aroma di malto è facoltativo e quando presente può essere percepito come di cereale, dolce o di granturco. Un leggero aroma speziato o floreale di luppolo è facoltativo. È desiderabile un profilo fermentativo pulito ma una leggera presenza di caratteri derivanti dal lievito non è un difetto.

 

Aspetto: Colore da giallo paglierino scarico a dorato. Schiuma bianca raramente persistente. Molto limpida.

 

Gusto: Abbastanza neutra al palato con un finale secco e vivace e un gusto di cereale o di mais da basso ad abbastanza basso che potrebbe essere percepito come dolcezza a causa dell’amaricatura poco presente. Sapore luppolato facoltativo e se presente abbastanza basso, con qualità floreali, speziate o erbacee, quando presente. Amaro da basso a medio-basso. Il bilanciamento può variare da leggermente maltato a leggermente amaro ma normalmente è alla pari. L’elevata carbonazione potrebbe accentuare la freschezza del finale secco. Profilo fermentativo pulito.

 

Sensazioni Boccali: Corpo da leggero a medio-leggero. Carbonazione molto elevata con leggera sensazione di frizzantezza sulla lingua.

 

Commenti: Spesso rappresenta quello che i consumatori di birra non artigianale si aspettano quando ordinano una birra negli Stati Uniti. Potrebbe essere venduta come una Pilsner al di fuori dell’Europa ma non dovrebbe essere confusa con gli esempi tradizionali di questo stile. Sapori decisi sono un difetto. Con note di malto e luppolo poco presenti, il lievito spesso è la cosa che differenzia maggiormente i vari marchi.

 

Storia: Evoluzione delle Pre-Prohibition Lager (vedi Categoria 27) diffusasi negli Stati Uniti nel periodo post-Proibizionismo e della Seconda Guerra Mondiale. I birrifici sopravvissuti hanno consolidato e allargato la distribuzione promuovendo fortemente uno stile di birra che incontrava il favore di una larga fetta della popolazione. Divenne quindi lo stile di birra dominante per molti decenni e ha generato molti rivali internazionali che hanno sviluppato allo stesso modo blandi prodotti per il mercato di largo consumo supportati da un pesante utilizzo della pubblicità e del marketing.

 

 

 

Ingredienti Caratteristici: Orzo distico o esastico con presenza di riso o mais fino al 40%. Lieviti Lager. Basso utilizzo di luppoli.

 

Confronto con altri stili: Più alcolica e corposa di una American Light Lager. Meno amara e con gusto meno deciso di una International Pale Lager. Significativamente meno luppolata, amara e con gusto meno deciso di una tradizionale European Pilsner.

 

Statistiche Essenziali:

OG: 1.040 – 1.050

FG: 1.004 – 1.010

IBU: 8 – 18

SRM: 2 – 3.5

ABV: 4.2 – 5.3%

 

Esempi in commercio: Budweiser, Coors Original, Miller High Life

 

Tags: gradazione media, colore chiaro, bassa fermentazione, lagerizzata, Nord America, stile tradizionale, famiglia delle lager chiare, bilanciata

 

Come anticipato nel precedente articolo, questo stile è molto simile a quello delle American Light Lager, da cui si discosta principalmente per una gradazione maggiore oltre che (ma in maniera veramente poco percettibile) per una corposità e un’amaricatura leggermente maggiori; questo lo possiamo notare anche negli esempi proposti che sono i medesimi del precedente stile ma nelle versioni “standard”, quelle che abbiamo provato praticamente tutti almeno una volta nella vita, a differenza invece delle versioni light che nel mercato italiano (e mediamente anche in quello europeo) sono molto poco diffuse.

Rimarchiamo quindi le considerazioni fatte nel precedente articolo, seguendo la voce Commenti del BJCP, che indica queste birre come le classiche “bionde” di largo consumo, senza aromi e sapori elaborati e anzi il più possibile standardizzati sia nel tempo, per la stessa birra, sia tra birre di birrifici differenti e con un’effervescenza ben presente che agevola la bevuta e rende la birra molto rinfrescante; peraltro viene consigliato di servirle molto fredde, modalità di servizio che aiuta ancora di più ad “anestetizzare” sapori troppo accentuati e l’eventuale percezione di troppa dolcezza, causata dal livello di amaro molto basso oltre che dal generoso utilizzo di riso e soprattutto mais nel grist.

In questo caso il paragone con le Pilsner viene esplicitato, sottolineando però che può essere fatto solo al di fuori del mercato europeo, perché in quest’ultimo gli esempi tradizionali di questo stile hanno un significato e caratteristiche molto diversi (e del resto, pur nella loro somiglianza e semplicità, anche i consumatori non esperti o appassionati hanno ben chiare le differenze, seppur minime, tra una Budweiser e le varie “rivali” nel largo consumo come Peroni, Nastro Azzurro, Heineken, Beck’s ecc.).

In particolare rispetto alle Pilsner europee, le American Lager sono molto meno amare, luppolate e complesse nel gusto oltre che con un grist che prevede succedanei dell’orzo in maniera molto massiccia.

Meno scostamento c’è invece, se si considerano come “Pilsner” le International Pale Lager, delle quali per ora ci basti sapere che sono quelle lager prodotte per la grande distribuzione in vari Paesi del mondo al di fuori degli Stati Uniti e del continente europeo e che si ispirano appunto a modelli simili americani e/o europei; in confronto a queste ultime, seppur amaro e corpo sono minori e il gusto è meno deciso, il gap sensoriale è inferiore.

Infine una nota rispetto agli ingredienti ed in particolare ai cereali utilizzati: l’utilizzo in grandi quantità di succedanei dell’orzo è dato da un minor costo di mais e riso come materie prime e quindi, per quanto riguarda le birre industriali, a scopo prettamente economico (ed ecco spiegati i prezzi molto bassi a cui troviamo queste birre); in questo caso la percentuale limite del 40% è del tutto indicativa e va intesa più che altro come “quota massima di utilizzo dei succedanei rispetto all’orzo che non inficia la riuscita dell’ammostamento”.

Conseguenza di questo è la contemporanea presenza di orzo distico ed esastico, distinti in natura in base al numero di file di grani della spiga: se il primo ha cicchi più grossi e maggior rendimento del secondo (contenuti di azoto e proteine inferiori) ed è quindi quello impiegato tradizionalmente perché fornisce livelli qualitativi più elevati, l’orzo esastico è più produttivo e ha un maggior potere diastatico, venendo quindi utilizzato nelle ricette che utilizzano molte aggiunte appunto per compensarne la mancanza di sufficiente potere diastatico; spesso una combinazione tra i due è la soluzione scelta in questi casi, così da equilibrare i benefici apportati da entrambi i tipi di malto.

 

 

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Giacomo Scappaticci
Info autore

Giacomo Scappaticci

Sono nato e cresciuto a Roma, città dove vivo attualmente. Nella vita, dopo essermi laureato in Economia, ho intrapreso la carriera di programmatore informatico, lavoro che svolgo tuttora.
Proprio durante gli anni della laurea mi sono appassionato al mondo della birra artigianale grazie al Buskers e al suo publican Mirko, che ha aperto a due passi dall’università proprio nel corso del mio primo anno. Da lì è stato un continuo immergersi nel mondo di questa bevanda (mondo che seppur già presente da anni a Roma, stava sbocciando con maggior forza proprio in quegli anni): conoscendo piano piano nuovi stili, frequentando vari locali e soprattutto i festival. In tempi molto recenti la passione mi ha portato anche a frequentare due corsi di degustazione, con cui approfondire in maniera più consapevole le mie conoscenze.