29 Giugno 2015

Piccola guida al mondo del luppolo

Piccola guida al mondo del luppolo

Condividi, stampa o traduci: X

Tag: , , ,

 

La cosa più importante da sapere, e che non bisogna mai dimenticare, del luppolo è che si tratta di un fiore: il fiore a forma conica dell’Humulus lupulus, una pianta rampicante oggi coltivata in sterminati campi su palizzate alte oltre sei metri, principalmente per dar piacere a noi amanti della birra. Come la maggior parte dei fiori, il luppolo è profumatissimo, ricco di sostanze aromatiche, ma anche delicato e deperibile. La pianta, che cresce tuttora spontanea privilegiando le sponde dei fiumi o il limitare dei boschi, è molto diffusa in tutte le zone a clima temperato e il suo verdissimo fiore era molto conosciuto persino prima che in Germania lo si cominciasse a coltivare: dall’antico Egitto alla misteriosa Cina erano già note le sue proprietà terapeutiche, digestive, rilassanti e lenitive.

.

.

Fu probabilmente durante l’alto Medioevo che il luppolo per la prima volta incontrò la bionda con cui avrebbe passato il resto della sua vita, anche se, già da migliaia di anni, era usato nella preparazione della birra, ma solo sporadicamente e per lo più accompagnato o sostituito da altre erbe aromatiche e bacche come il ginepro, il pino, l’abete, l’erica , lo zenzero, l’ortica e tante altre spezie e piante. Le prime coltivazioni di luppolo in Germania risalgono al IX secolo e di corrispondono a un primo importante utilizzo nella produzione della birra. Al XII secolo risalgono i primi scritti che parlano del luppolo, delle sue proprietà e del suo utilizzo nel preparazione della birra, giunti fino a noi grazie a Santa Hildegard von Bingen, suora e botanica tedesca dell’abbazia di St. Rupert in Renania.

Durante il basso Medioevo la coltivazione e l’uso del luppolo si diffusero in buona parte dell’Europa, dalla Boemia all’Olanda, mentre gli inglesi conobbero il piacevole amaro che questo fiore dona alla birra solo nel XVI secolo, poiché, in continuo conflitto con i fiamminghi, erano restii ad adottarne le abitudini.

L’importanza del luppolo fu sancita nel 1516 da Guglielmo di Baviera che lo citò tra i quattro ingredienti birra previsti dal Reinheitsgebot (editto di purezza), il documento con il quale il governo bavarese, oltre a fissare il prezzo della birra, imponeva ai birrai l’utilizzo esclusivo di malto d’orzo, acqua, lievito e luppolo nella sua produzione: di conseguenza ogni altro ingrediente fu bandito. In questa fase il luppolo era aggiunto alla birra come conservante e la sua menzione nel Reinheitsgebot indica la volontà di prevenire i metodi di conservazione scadenti usati prima della sua introduzione. L’uso del luppolo si diffuse però in tutto il mondo solo durante il XIX secolo Ora la sua coltivazione è praticata a livello industriale, per soddisfare una sempre crescente domanda di quantità, qualità e nuove varietà. I più grandi produttori sono Germania, Inghilterra, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti, specialmente lo stato di Washington.

L’Humulus lupulus è una pianta facile da coltivare, tenace e resistente, scelta durante i secoli per il sapore che dà alla birra e per l’ottimo contrasto all’eccessiva dolcezza del mosto. Aroma e sapore sono fondamentali, ma la sua importanza nella produzione della birra va oltre tutto ciò. Come già detto, il luppolo è risaputamente antisettico e dotato di molte proprietà conservative; inoltre, coagulando, favorisce l’eliminazione di proteine non desiderate del malto, aiuta la chiarificazione e promuove una maggior persistenza della schiuma e una conseguente permanenza del profumo.

Essendo fiori, i luppoli deperiscono molo rapidamente, alcuni più di altri. Appena colti vengono essiccati, isolati dall’ossigeno e conservati al freddo: questo per poter meglio preservare dall’ossidazione olii e resine del fiore che sono responsabili rispettivamente dell’aroma e dell’amaro nel gusto della birra. Le piccole capsule che li contengono sono chiamate luppolina e sono facilmente riconoscibili nel fiore appena colto sotto forma di una fine polvere gialla sulla base dei petali. Se strofinate tra le dita, queste capsule si rompono e rilasciano tutto il loro profumo.

.

.

Le resine amaricanti sono dette “alfa”. La loro presenza è espressa in termini di “alfa acidi” la cui presenza si misura con una percentuale che rappresenta il peso di tali resine in rapporto a quello del fiore. Ogni varietà di luppolo è più o meno amara, da un minimo di circa 2,5% a un massimo di circa 20%. Essendo gli alfa acidi molto poco solubili, per estrarli bisogna bollire il luppolo da 30 a 90 minuti. Un bollore sostenuto serve a mischiarli meglio col dolcissimo mosto. L’intenso calore dell’acqua in ebollizione crea le condizioni che permettono una reazione chimica, chiamata isometrizzazione, che rende solubili le resine. I birrai di tutto il mondo hanno sviluppato e adottato un sistema di misura per riferirsi ai gradi di amaro detto IBU (International Bitterness Unit): 1 IBU equivale a 1 milligrammo di alfa acidi isometrizzati in un litro di mosto. Semplificando, più aumentano le IBU più birra è amara. Esiste un secondo tipo di resine, dette “beta acide” che, invece, sono ideali per contrastare e ritardare gli effetti inevitabili di deterioramento dovuto ai batteri, prolungando così la durata della birra. Gli olii, presenti in quantità nei luppoli più adatti ad aromatizzare la birra, sono solubili e molto volatili. Per trasferire le loro caratteristiche alla birra finita, i luppoli ricchi di olii vanno aggiunti durante gli ultimi minuti di bollitura del mosto oppure da 3 a 7 giorni nella birra fermentata prima di imbottigliare: questa ultima tecnica è conosciuta come “dry hopping” .

.

.

Se volete comprare del luppolo, lo troverete quasi esclusivamente essiccato. In erboristeria sono venduti i fiori interi per fare tisane e infusi dalle innumerevoli proprietà curative. Sui siti internet specializzati o nei negozi per homebrewer lo troverete sotto forma di coni, ovvero fiori essiccati e pressati, plugs, coni pressati e porzionati in pastiglie, o pellet, cioè fiori essiccati triturati e poi pressati. Più raramente i luppoli sono commercializzati come estratti, olii usati principalmente nell’industria birraria e ottenuti dall’estrazione chimica di resine e componenti aromatiche del luppolo.

La qualità del luppolo è fondamentale: diffidate del luppolo che non si presenta verde, potrebbe essere vecchio e ossidato. Evitate anche di usare un luppolina che appare arancione: potrebbero essere deperiti gli olii essenziali, col rischio di conferire un cattivo odore alla birra. È importante conservare i fiori del luppolo sottovuoto e refrigerati, infatti,  come in tutte le reazioni biochimiche, la temperatura ha un ruolo fondamentale. Indicativamente, possiamo dire che il tempo di decadimento raddoppia abbassando di 10°C la temperatura. L’altro fattore decisivo è l’ossigeno: va notato che anche in assenza di ossigeno vi è decadimento degli alfa acidi, ma avviene 10 volte più lentamente.

Esplorando le tante varietà di luppolo troverete i resinosi sentori di pino come nel Chinhook americano, le floreali e citriche sfumature del Cascade americano o dell’inglese Fuggle, sentori erbacei e speziati, a loro modo unici e differenti, di Tettnager, Hallertauer, Hersbrucker e Spalt, i nobilissimi luppoli tedeschi, o dell’altrettanto aristocratico Saaz ceco, fino alle note di uva del neozelandese Nelson Sauvin e a quelle di frutta tropicale del Mosaic. Sta solo all’abilità del birraio combinare gli inconfondibili e pungenti sapori del luppolo in modo da farci gustare la nostra bevanda preferita nelle sue mille sfumature.

 

Condividi, stampa o traduci: X

Federico Borra
Info autore

Federico Borra

Classe 1982, nato a Milano, ma comasco d’adozione, ho iniziato il mio viaggio nel mondo della birra artigianale nella cantina di un ormai famoso birraio: io facevo i compiti della quinta elementare, lui poneva le basi per un brillante futuro.
Per anni però ho vissuto ai margini di un movimento che diventava sempre più grande e delle cui meraviglie finalmente e totalmente mi sono innamorato nell’estate del 2011… da allora si può dire che io e la birra artigianale siamo inseparabili.
Sono un autodidatta (adoro leggere), ho però frequentato alcuni corsi presso i birrifici vicino a casa (mi piace anche ascoltare, soprattutto i birrai!). Grazie ad un tifoso lariano del West Ham (di cui forse un giorno vi racconterò), riesco facilmente a raggiungere birre da tutto il mondo, dalla Danimarca al Giappone, passando per Nuova Zelanda, Francia, Inghilterra, Belgio, Germania, U.S.A., Italia e chi più ne ha più ne metta…e dove non arriva lui, c’è sempre internet!
Fosse per me sarei sempre in giro per il mondo, scoprire nuove culture mi affascina soprattutto attraverso la musica, il cibo e, perché no, la birra. Da sempre sono appassionato di cucina, cerco di scavare a fondo nella tradizione senza mai chiudere la porta alla creatività. Sfoglio volentieri, anche solo per passare il tempo, libri di ricette e ne ho una piccola collezione comprata in tutto il mondo (beh, più o meno tutto). Questa mia passione si è unita a quella della birra sfociando nella ricerca dell’ abbinamento perfetto.
Dal 2012 sono homebrewer. Producendo birra mi piacerebbe imparare a conoscere gli aromi del luppolo e le sfumature del malto, l’utilizzo dei lieviti e l’influenza che ha l’acqua sulla nostra bevanda preferita (la sperimentazione in prima persona è fondamentale!!).
Attraverso questa nuova esperienza con www.giornaledellabirra.it vorrei poter condividere con voi le mie idee e le mia scoperte, confrontarmi e soprattutto ampliare i miei orizzonti! Tra i miei ispiratori, l’autore Jef Van Den Steen ed il suo libro Gueuze & Kriek: The Magic of Lambic